Partiti e politici
Viaggio nel cuore d’Emilia, tra la paura e la voglia che arrivi il Capitano
MODENA – La città benestante e progressista, culla del prodismo e delle sardine. La “bassa” depressa, che scivola verso Ferrara e che ancora non si è del tutto rialzata dopo il terremoto del 2012. I distretti produttivi, la ceramica di Sassuolo e la meccanica di eccellenza cresciuta all’ombra del Cavallino Rampante della Ferrari. L’Appennino spopolato e senza neve, aggrappato a un turismo da reinventare, a una vocazione da riscrivere. Strade statali e bretelle ingolfate di macchine, l’Alta Velocità ferroviaria che si ferma appena sotto, a Bologna, e appena sopra, a Reggio Emilia, ma non qui. Benvenuti a Modena, benvenuti in questo pezzo di Emilia dove c’è tutto, condensato. C’è anche, peraltro, Stefano Bonaccini, ex assessore in città e presidente uscente, che ha avuto come assessore regionale quel Muzzarelli che oggi di Modena fa il sindaco. Bonaccini, domenica 26 gennaio, si gioca il proprio destino politico e, ben al di là di meriti o demeriti personali, ha addosso il peso di un bel pezzo di futuro della politica italiana.
Già. La vita e la politica sono strane. Ed è così che, nel ruolo del centravanti, del leader trascinatore di una squadra ben più più grande della sua pur grande regione, si trovi Bonaccini, una vita – direbbe Ligabue, dalla vicina Correggio – da mediano della politica. Una tranquilla carriera da amministratore nel solco tracciato lungo i decenni dagli Errani e dai Delrio, dagli Zangheri e dai Bersani… e invece “noi siamo soddisfatti e ottimisti” dicono con convinzione i militanti leghisti che presidiano il territorio, lo battono palmo a palmo. “Il Capitano sta facendo il pieno ovunque, ovunque, perfino a Reggio Emilia, non so se è chiaro…”. Se perfino la roccaforte rossa per definizione vacilla – dicono senza badare alla scaramanzia – vuol dire che il colpo gobbo può andare in buca. Hanno, dalla loro, il vantaggio psicologico di chi ha tutto da guadagnare: se perdono di pochi punti comunque è andata benissimo. Se vincono, anche di un voto solo, hanno fatto l’impresa del secolo. Lucia Borgonzoni è quasi come se non ci fosse, nei gazebo: ci sono i militanti locali, magari i parlamentari del collegio, e i manifesti dei candidati e delle candidate “del territorio”. E poi c’è Lui, Matteo Salvini, che sta decisamente un passo avanti, o anche due, alla sua candidata: ma il deal sembra funzionare molto bene a entrambi. Da mesi, appena può, batte le campagne emiliane, soprattutto i “luoghi che non contano”, i luoghi frequentati e vissuti dalle persone che sentono di non contare niente, dimenticati da tempo immemore. Tra una sagra del suino e una manifestazione sportiva, il segretario trova sempre il tempo per passare a salutare gli amici e i supporter che mettono a disposizione risorse, notorietà e imprese. Lo fa a Milano Marittima, nel celeberrimo Papeete, ma anche a Modena, nel 212 che vede tra i soci Luca Toni. E ne approfitta per salutare e abbracciare lungamente la cameriera africana, scrive la stampa locale, per dimostrare “se ce ne fosse bisogno” – sì, proprio così – che lui è fortemente contrario ad ogni forma di razzismo.
A proposito, i migranti sono un problema, quassù in montagna? Lo chiedo in un giovedì mattina di mercato a Sestola, 1000 metri sul livello del mare, luogo di villeggiatura di Nilde Iotti e patria dello Sci Club che educò alle prime discese sua maestà Alberto Tomba. In piena stagione invernale non c’è un filo di neve, se non quella costosamente sparata e faticosamente mantenuta nelle piste tra i boschi dove spuntano, sfacciate, perfino le primule. “Ma no, qui gli immigrati sono pochi, proprio perché sono pochi sono tranquilli, integrati, lavorano, non danno mica fastidio”. È sempre il gazebo della Lega a fare da sfondo. Il partito pragmatico sa gridare in tv, e sa però quale tasto toccare sul mitico territorio per parlare agli elettori veri, non a quelli immaginari. “Qui i veri problemi sono la viabilità, la tassazione che è uguale a chi sta sotto, in valle, mentre per noi i costi di mantenimento delle attività o di approvvigionamento delle materie prime sono ovviamente superiori…”. Qui, sarà l’aria di montagna, la Lega ha i toni che noi vicini alle valli lombarde ricordiamo fin dall’inizio. “Ci vuole l’autonomia fiscale delle regioni, Di Maio ci ha detto no perché lo votano al sud”. Ne riparliamo dopo che avrete vinto la Calabria tanti a pochi, ok? “No, ma è diverso”.
E poi, naturalmente, c’è il tema di fondo: “Dopo 50 anni, dico io, non si potrebbe cambiare aria? Provare qualcosa di diverso, no? Poi se non andiamo bene noi si può sempre tornare indietro, siamo in democrazia”. A proposito, fa eco il Senatore leghista Stefano Corti, eletto nel collegio di “Modena e Montagna” dopo un lungo conteggio delle schede, che in prima battuta aveva premiato il candidato del centrosinistra Patriarca: “dobbiamo vigilare con grande attenzione, per evitare che i presidenti di collegio si sbaglino. Sai, quattro o cinque schede sbagliate in ogni sezione fanno ventimila schede sbagliate in tutta la regione…”. La provincia è un’altra, ma l’eco della storia per eccellenza ovviamente arriva fin qui. “Voce bikers (un’associazione di motociclisti, ndr) che ha aderito alla nostra posizione, ha invitato Salvini a partecipare alla loro festa, a Salvaterra di Casalgrande, sabato, per parlare proprio della questione dei minori e degli affidi… alla stessa ora poco lontano ha deciso di esserci, con una sua manifestazione, anche Bonaccini. Siamo curiosi di vedere chi ha più popolo…”. Si avvicina un ambulante da un banchetto. “Avete detto Bibbiano? Io ho parlato con della gente che sa davvero come sono andate le cose. Dice che ci sono alcuni bambini che sono spariti nel nulla, per sempre…”.
Dall’altro lato del mercato, attorno al banchetto del Pd, che aria tira? “Diciamo che fa un bel freddo”, sorride un militante che distribuisce volantini. “In Appennino è dura sempre, diciamo, però stavolta si soffre davvero. Speriamo, dai…”. “Ma vorremo mica scherzare, la regione in mano a quelli là?” fa eco una signora sulla settantina. “Se vincono quelli emigro…”. Faccio notare quel che sanno tutti, e cioè che il simbolo del Pd non si trova neanche a guardare col microscopio, sui manifesti di Bonaccini. “Ha fatto bene, è un buon modo per provare a prendere più voti”. Ehm, appunto. “La colpa è di Renzi, tutta colpa sua. E nota bene, parli con uno che alle primarie l’ha votato tre volte su tre”. Un partito, come un paese, impigliato nel suo passato.
Nel suo ufficio del Comune di Sestola, il sindaco di centrosinistra racconta la dimensione faticosa, paziente, di artigianato politico, dell’amministrazione di un piccolo comune della provincia montana. “Che non è mica facile” racconta Marco Bonucchi, “trovare uno che sto mestiere vuole farlo”. Ed è ovvio che sia così. Tra competenze frammentate, soldi che mancano, turisti che “al prezzo di un week end a Sestola oggi vanno a Londra o a Parigi”, il gioco si fa duro. “Io stimo molto il presidente della Regione e la sua giunta ha fatto tanto per le montagne, molto più che in passato”. Rivendica con orgoglio la propria rielezione con percentuali bulgare, in controtendenza rispetto ai gusti politici dell’area. Ma il problema è più grande di Sestola, naturalmente. “Perché un comune lontano e in difficoltà non deve godere di un meccanismo più vantaggioso nella redistribuzione delle tasse, o non può tenersi un pezzo più importante di Imu, invece di metterne un terzo nel fondo di solidarietà?”. Perché i soldi non bastano mai, né per la manutenzione ordinaria né per comprare un gatto delle nevi che, spiega il sindaco, costa mezzo milione. Così, dove prima c’era una pista da sci che arrivava nel cuore del paese, oggi trova posto una pista per ciclisti acrobati che si buttano in discesa libera sulle due ruote. Il problema vero, però, riguarda naturalmente gli assetti istituzionali e territoriali, e quel che si riesce o non si riesce a fare, dopo che l’abolizione delle province ha aumentato le competenze dei comuni, ma in un’epoca di risorse economiche sempre più scarse. Scendendo verso la pianura, o salendo verso il Cimone e gli impianti di risalita, nelle valli frequentate dai Gianpiero Samorì e dalle Nicoletta Mantovani, la litania in forma di cartelli si legge sui cancelli di ville, case e rustici: è tutto un vendesi e affittasi, affittasi e vendesi. La domanda di posti dove fare la scelta alternativa, o anche solo di avere un posto dove far respirare aria buona ai proprio figli, sicuramente cresce. Ma difficilmente può pareggiare l’offerta di tutte quelle case vuote, adesso che il boom dello sci è finito, con la fine della neve.
La partita vera che deciderà il futuro della Regione e, in qualche misura, della politica italiana, si gioca giù, a fondo valle. Dove vive il grosso della popolazione e dove si definiscono davvero gli equilibri economici. Per esempio, ai confini tra Maranello e Fiorano, dove la più grande area dismessa della Provincia di Modena, oltre trenta ettari, è ancora in cerca di autore. Adesso è un enorme cratere. Tutto attorno ci sono enormi parcheggi pieni di piastrelle, cave di ghiaia che danno carburante all’industria delle costruzioni, centri commerciali ogni due chilometri, e un fiume di automobili sempre accese. Siamo nel cuore del distretto della ceramica, e del territorio forse più centrale, simbolicamente e materialmente, per decidere chi, domenica 26 gennaio, sarà eletto presidente della Regione Emilia-Romagna.
Quella spianata bianca che si estende a perdita d’occhio è un buon esempio di quale peso possono avere e di quale segno sono destinate a lasciare scelte urbanistiche sbagliate. “In un territorio già saturo di spazi per la grande distribuzione si è voluto trasformare la più strategica e centrale tra le aree col solito pacchetto fatto di residenza, terziario e un ennesimo centro commerciale” spiega Federico Zanfi, modenese, professore di urbanistica del Politecnico di Milano. Oltre alle diverse opposizioni che provenivano dal territorio, c’è anche un’evidente resistenza del mercato, si direbbe, almeno guardandosi attorno. Esselunga, Panorama, Lidl, Rossetto, Eurospin: i templi del consumo, nel circondario non si contano. L’impresa che doveva costruire è fallita poco dopo l’inizio del cantiere, giusto il tempo di abbattere tutti i capannoni senza tirare su un solo nuovo muro. E così adesso, stretto tra due strade pedemontane che sono la spina dorsale del distretto c’è questo gigantesco incompiuto – ma meglio sarebbe dire: mai iniziato – che stringe il colpo d’occhio e anche un po’ il cuore.
La spinta per l’industria delle costruzioni tradizionali qui è stata fortissima, per farle ripartire dopo la crisi e il terremoto, in particolare. Le cave di ghiaia sono un punto fermo della filiera produttiva, e l’estrazione è un pezzo fondamentale che fa da base alle costruzioni civili e industriali. Da questa esigenza è nato ad esempio un monumentale viadotto dell’Alta Velocità che attraversa il territorio a nord del capoluogo e che svetta come una cattedrale nel deserto agrario che la circonda. Il tema dell’ambiente, ormai di attualità in tutto il mondo, dovrebbe essere il primo punto di ogni agenda politica, in una terra che è, per molte ragioni geografiche e per altrettante scelte umane, una camera a gas permanente. E invece, al centro del dibattito c’è spesso, molto più spesso, la costruzione di un nuovo pezzo di superstrada, autostrada – è il caso del raccordo della A22 tra Modena e Sassuolo – e di nuovo centri commerciali. Un po’ ovunque. Nessuno si oppone, ma in un caso e nell’altro, ad essere centrali sono e restano gli interessi del mondo cooperativo. “Diciamo che siamo in continuità con una storia”, sorride amaramente l’architetto Giovanni Cerfogli, dirigente del Comune di Modena che lavora anche sull’Appennino, e ricorda di come il proto ambientalista modenese Sabattini, militante radicale e tra i primi a denunciare che lo sfruttamento intensivo delle ghiaie stava togliendo protezione alla salubrità delle falde, venisse trattato dai comunisti. “Lo picchiarono addirittura durante la manifestazione per la liberazione di Aldo Moro”.
Storie antichissime, in bianco e nero, che raccontano bene però le radici profonde di un modello di sviluppo che è davvero difficile cambiare anche adesso che mostra la corda, che quella ambientale è un’emergenza su cui, almeno a parole, sono d’accordo quasi tutti. Ma cambiare orizzonte è davvero difficile, per una terra che gioca nel perimetro che da un lato è segnato dalle Ferrari di Maranello, e dall’altro dalla Sassuolo delle ceramiche, delle costruzioni, dello stadio formato Mapei.
Lo conferma il racconto di David Zilioli, attivista del Pd che ci riceve in un oratorio parrocchiale. “È anche la sede degli ultrà del Sassuolo, si ritrovano sempre qui”. Racconta di come è arrivata la vittoria leghista, alle amministrative dello scorso anno. “Il partito sempre più debole, le giunte riempite volutamente di figure che non possono mai contrastare il capo, i temi caratterizzanti tenuti nascosti per non scontentare i grandi interessi… ed eccoci qui”. In una città in cui – prosegue – sembra prendere forma plastica una frase che viene attribuita a Romano Prodi: “non si può essere ricchi e ignoranti per più di una generazione”. In un distretto che ha reso ricchissimi alcuni imprenditori, s’è vista la restituzione al territorio, la capacità di dare qualcosa?
“Qui, dopo che si fanno costruire enormi stabilimenti, come compensazione, agli imprenditori viene richiesto di fare qualche rotonda per fluidificare il traffico” ironizza Cerfogli. Non tanto, in effetti. Intanto, l’avanzare della tecnologia e della specializzazione del lavoro ha ridotto il numero degli addetti nelle fabbriche, “con una costanza che sembra essere indipendente rispetto alle dinamiche della crisi” annota Zanfi.
Qui prevale, sembra prevalere un po’ a tutte le latitudini, la rivendicazione del binomio “competenza ed efficienza”. Un mantra continuo, autocertificato da una classe dirigente che può sempre dire – e infatti lo dice sempre – che “se fossimo stati così male, perché avrebbero dovuto votare per noi per tutto questo tempo”. Dove il cambio della guardia è avvenuto, dove hanno vinto gli altri, anche dall’opposizione il centrosinistra sottolinea l’inesperienza dei nuovi inquilini dei palazzi. Capita, ad esempio, a Finale Emilia, dove Elena Terzi, candidata del Pd sconfitto alle ultime comunali, spiega che “siamo il Comune più indietro con la ricostruzione post terremoto, e la colpa è di chi governa adesso, che non aveva nessuna esperienza”.
La vittoria del centrodestra, peraltro, è maturata a valle di una serie di scandali e problemi che hanno travolto l’amministrazione precedente, quando il centrosinistra ha dovuto fare i conti con il processo per ‘Ndrangheta Aemilia e un dirigente del comune è stato processato e condannato. Intanto, il paese in seguito al terremoto e alla ricostruzione ha dovuto cambiare faccia. La nuova scuola, una serie di prefabbricati, è fuori dal piccolo centro storico, in una zona raggiungibile di fatto solo in automobile. Sembrano dettagli di poca importanza, e forse lo sono di fronte all’enormità del terremoto e della fatica di ripartire. Eppure, dopo un giro nel cuore dell’Emilia, la domanda viene spontanea: davvero è il caso di continuare a riempire di cemento e strade l’infinita periferia emiliana, mentre i centri, decadenti, si svuotano? Chi vede da vicino questi processi racconta che, dalle parti del partito unico di governo, la risposta era sempre la stessa: “Ci rallentate, siete contro lo sviluppo, siete gufi!”.
Il voto, insomma, è alle porte. Le principali speranze di vittoria di Bonaccini – meglio: le strategie cui si è aggrappato il Pd terrorizzato dalla rimonta – sono l’appoggio delle Sardine, il movimento nato nell’alveo del prodismo e in aperta contrapposizione a Salvini, e la scomparsa di ogni simbolo politico dalla sua campagna. Sullo sfondo, quasi che si sapesse che non basta, i numeri di una regione benestante. Si racconta di un’agenzia specializzata che l’ha ripulito di ogni traccia burocratica, gli ha appiccicato sopra occhiali e barba da hipster, un candidato contemporaneo in una regione che ancora, finora, ha vissuto in continuità col Novecento. Basterà per fermare l’avanzata del Capitano, in questo primo scorcio di terzo Millennio?
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