Partiti e politici
E ora qualcosa di completamente diverso
“Follia è fare sempre la stessa cosa e aspettarsi risultati diversi“, diceva Albert Einstein: questa saggia massima andrebbe spiegata alla sinistra italiana, che ha la sconcertante tendenza a ripetere perpetuamente le stesse scelte strategiche, benché si siano più volte dimostrate fallimentari.
La galassia comunista continua ad essere, come da tradizione, frammentata in una miriade di micro formazioni, pressoché indistinguibili per l’elettore medio; tra di esse spicca Rifondazione, che rimane fedele alla sua vocazione di Genio Guastatori della politica e, dopo aver mandato a monte l’esperienza del Brancaccio e aver azzoppato Potere al Popolo, si appresta verosimilmente a far danni anche nel nuovo progetto di De Magistris.
Il neonato partito di Potere al Popolo è la reincarnazione della sempiterna sinistra “civica”, quella che campa attaccando non la destra, ma i partiti contigui, evidentemente soddisfatta di raccogliere le briciole che cadono dal tavolo dell’elettorato altrui: in questo periodo è fruttuosamente intenta a picconare il Movimento Cinque Stelle, dal quale ha mutuato la retorica populista dell’uno vale uno e lo stile di opposizione. Possibile, il piccolo partito fondato da Civati, continua a portare avanti le sue sacrosante battaglie politiche e culturali in splendida solitudine, finendo per condannarsi all’irrilevanza; quanto a Sinistra Italiana, l’erede del partito di Vendola non riesce a emanciparsi dal senso di superiorità che gli impedisce di allearsi con chicchessia, malgrado continui a proclamare l’esigenza dell’unità della sinistra.
C’è infine la sinistra del Pd (collocata al momento un po’ dentro e un po’ fuori dal partito), che non riesce ad abbandonare per sempre una casa che ormai non sente più sua e continua a illudersi di poterla riportare agli antichi fasti con un congresso palingenetico che appare sempre più improbabile. Tra le sue coazioni a ripetere c’è l’ossessione di definirsi di governo e la conseguente tendenza ad annacquare le proprie proposte, per non apparire estremisti; c’è anche quell’inclinazione a imitare la destra in voga del momento che l’ha portata negli ultimi vent’anni ad accodarsi al neoliberismo imperante e che oggi la spinge a darsi una parvenza securitaria (Minniti) o sovranista (Fassina), nella surreale ambizione di sottrarre consensi al proprio avversario politico principale inseguendolo sui suoi cavalli di battaglia.
Il tratto comune a tutte le cinquanta sfumature di sinistra è l’incapacità dei dirigenti di confrontarsi con la propria presunta base elettorale per coglierne i bisogni, le aspettative, i timori e le speranze; da ciò consegue una deriva politicista che li spinge a rinchiudersi in un dibattito autoreferenziale, in cui il cardine della proposta politica continua ad essere il superatissimo tema delle alleanze (ormai abbandonato perfino dai Cinque Stelle, che hanno felicemente sdoganato le larghe intese giallo-verdi). Mentre la destra ha saputo reinventarsi per raccogliere nelle sue vele lo spirito del tempo, trasformandosi da liberista e globalista in reazionaria e nazionalista, la sinistra è rimasta priva di argomenti e di proposte che vadano al di là di pochi nobilissimi proclami ideali e per questo vuoto di identità continua ad aggrapparsi alle sue abitudini autodistruttive.
In vista delle Europee, c’è da aspettarsi che queste varie sinistre facciano (di nuovo) la stessa cosa di sempre: mettere insieme all’ultimo minuto due o tre liste elettorali improvvisate, di cui una sola supererà di un soffio lo sbarramento e si schianterà dopo pochi mesi sull’eterno scoglio dell’alternativa tra riformisti e radicali (o tra radicali e veri anticapitalisti). Un film già visto talmente tante volte da far sorgere spontaneo il proverbiale commento del ragionier Fantozzi…
Per uscire dal circolo vizioso servirebbe, come insegna Einstein, qualcosa di completamente diverso. Non si tratta solo di licenziare per giusta causa i dirigenti che hanno portato la sinistra allo sfascio attuale, o di inventarsi un nuovo nome e un nuovo simbolo ma, soprattutto, di cambiare radicalmente metodo.
Anziché riunirsi in asfittici conciliaboli a dilaniarsi sulla collocazione politica nei gruppi parlamentari europei, sull’eventualità di un’alleanza con il Pd o su incomprensibili questioni di regolamento statutario o congressuale, i dispersi rivoli della sinistra italiana dovrebbero confrontarsi, con umiltà, con gli elettori e i propri militanti per capire quale cammino intraprendere e dare loro il protagonismo che meritano; unirsi su poche battaglie politiche concrete, che parlino alle persone comuni dei loro problemi e delle loro aspirazioni e che propongano soluzioni fondate su una visione condivisa; dimostrare di saper ottenere risultati tangibili, anziché fermarsi alla rivendicazione dei propri ideali.
Certo sarebbe uno sforzo notevole abbandonare i propri rassicuranti rituali; ma è l’unico percorso che può restituire un senso e un’utilità alla sinistra, che altrimenti continuerà a girare inutilmente in tondo e ad affannarsi senza spostarsi di un millimetro…
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