Partiti e politici

E anche questa settimana, mentre la politica annaspa, qualcuno sogna Draghi

16 Settembre 2024

Sul tavolo della settimana che ci lasciamo alle spalle, e di quella che inizia, si mischiano le questioni che segnano le epoche e quelle che invece increspano appena l’umore di qualche giornata o, al più, di qualche settimana. Tra le prime, c’è la rinnovata spinta di un ripensamento, rafforzamento e rilancio dell’integrazione europea, impersonificato ancora una volta da Mario Draghi, in un contesto di perdurante incertezza geopolitica e strategica che abbraccia il continente americano e quello asiatico. Tra le questioni più piccole – ma si sa, è il rosario dei singoli giorni a fare insieme la storia, e a dire anche la statura di chi lo recita – c’è il perdurare delle ansie politiche italiane: le riforme costituzionali e istituzionali che si incagliano, la paura di un complotto sempre nuovo in chi governa, il titubare nel gioco delle alleanze in chi invece ambisce a farlo mentre sta all’opposizione. Andiamo con ordine, partiamo dal mondo e da Draghi.

L’ultima volta successe all’espodere della pandemia del Covid. Alla fine di marzo del 2020 Mario Draghi, sulle colonne del Financial Times, presentò la sua ricetta: la perdita di reddito e produttività doveva essere assorbita con ingenti dosi di debito pubblico, destinato a diventare strutturale e che, in prospettiva, avrebbe richiesto una maggior integrazione europea, immaginando l’Unione come luogo nel quale mettere in comune anche – appunto – il debito. Cos’è successo dopo lo sappiamo: i debiti pubblici sono effettivamente esplosi, il PNRR ha aumentato l’interdipendenza tra economie nazionali nel contesto europeo, e Draghi è diventato anche presidente del consiglio. Sarebbe interessante rileggere quei passaggi, tutti, col senno di poi, e capire se davvero ad esempio far esplodere i debiti pubblici era l’unica risposta possibile, alla crisi da Covid, e se il PNRR sia uno strumento abbastanza flessibile per plasmarsi su esigenze diversi e paesi diversi, alcuni dei quali – l’Italia, ad esempio – hanno una capacità progettuale e di realizzazione sufficiente per i tempi e i modi del Piano, e per rendere quel nuovo debito un vero investimento e non un nuovo fardello. Ma questa è storia, e magari un giorno l’affronteremo. La cronaca si concentra necessariamente sul “ritorno” di Draghi, che Martedì 17 presenterà la sua Europa al parlamento europeo, in un momento decisivo per il futuro di questo progetto politico e istituzionale che chiamiamo Europa, e per l’orizzonte politico di diversi paesi fondatori, a cominciare dal nostro.

Già, perchè nei giorni scorsi e in quelli futuri, in Italia, si è discusso e si continuerà a discutere del futuro della coalizione di governo. Proprio un incontro tra Mario Draghi e Marina Berlusconi è sembrato confermare il fatto che, dalle parti della famiglia che è azionista quasi unica di Forza Italia, il malcontento nei confronti del governo Meloni serpeggia. Sono improvvisamente lontani i momenti nei quali Draghi, “l’italiano più autorevole nel mondo”, sembrava benedire Meloni, Fratelli e sorelle nella loro transizione verso un conservatorismo euroatlantico. La sua ricomparsa sulla scena nazionale e internazionale, del resto, arriva in un momento di continua fibrillazione della maggioranza, accompagnato da una continua paranoia complottista da parte della presidente del Consiglio. Per coincidenza, proprio nello stesso giorno dell’incontro Draghi-Berlusconi, officiato da un cerimoniere d’eccellenza come Gianni Letta, la politica italiana, sempre a corto di risorse, ha brevemente discusso – in seguito a un’ipotetica apertura di Giancarlo Giorgetti – dell’ipotesi di una tassazione sugli extraprofitti della banche, che quest’anno beneficieranno ancora, nei loro bilanci, di utili importanti tutti dovuti al permanere di tassi di interesse che solo ora stanno iniziando a calare davvero per azione delle banche centrali. La proposta, prontamente cassata da Forza Italia e da altri pezzi di maggioranza, non è nuova: un anno fa l’aveva annunciata come cosa fatta Matteo Salvini, prima di ingoiare smentite una sostanziale retromarcia. Allora Giorgetti sembrò totalmente dissenziente, e l’idea di Salvini fu fatta passare come una fuga in avanti del giovane “comunista padano” che era stato, prima di diventare un leader di estrema destra. Il primo governo a parlare di tassa sugli extraprofitti, anche se non delle banche ma delle compagnie energetiche, era stato tuttavia quello di Draghi, nella nascita e costruzione del quale Giorgetti ebbe un ruolo tutt’altro che marginale. Sempre dalle parti della coalizione di governo, una grana locale che può diventare nazionale, è il patteggiamento accettato e non comunicato a nessuno da Giovanni Toti. Fino a ieri si preparava una campagna elettorale a sostegno di Marco Bucci, sindaco di Genova, all’insegna del vittimismo giudiziario. Oggi è più difficile, e il fatto che Toti abbia comunicato di aver parlato solo “con le persone di cui si fidava” della sua decisione descrive, una volta di più, un clima interno non particolarmente sereno. Del resto, se Giorgia Meloni ha deciso di rinviare all’anno prossimo – almeno – l’iter della “madre di tutte le riforme”, cioè il premierato, vuol dire che così tranquilla rispetto al suo mare, e alla sua ciurma, non si sente nemmeno lei.

E dall’altra parte, che aria tira? La rotta della “coalizione più ampia possibile”, volgarmente detta “campo largo”, sembra l’unica possibile per provare – quando sarà – a vincere, a meno di vere e proprie implosione nella coalizione di governo. E tuttavia, è una rotta difficile da tenere, perchè le ammucchiate senza verà comunione di intenti son sempre finite male, da un lato, e perchè i dissapori del recente passato sono freschi, come la memoria degli insulti. Il mare di domani sembra popolato dagli stessi scogli di ieri.

Domenica sera, alla chiusura della Festa dell’Unità di Milano, ho avuto l’occasione di intervistare Stefano Bonaccini, presidente del partito. Ha detto diverse cose che meritano di essere annotate. Ha ricordato che il buon momento del Partito Democratico, sancito alle elezioni europee, non deve far dimenticare che la destra, in Italia, è ancora solida maggioranza relativa, e anzi da quelle elezioni è uscita rafforzata, in termini relativi. È un atto di realismo che guarda al presente e alla storia di questo paese, che di “sinistra”, qualunque cosa voglia dire, non è stato davvero mai. Ha anche aggiunto che il Pd deve promettersi che “non tornerà mai più a governare se non vincendo le elezioni”. Chissà cosa ne pensa Mario Draghi e, più di lui, i tanti che sognano un suo impensabile ritorno.

(foto di Copertina Filippo Attili, Video di Alessandro Milia)

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