Partiti e politici

“E allora il piddì?”. Di Maio prova a scaricare i disastri economici del Governo

5 Giugno 2019

Un grande classico della propaganda del sedicente Movimento 5 Stelle è l’adagio “e allora il piddì?” con le varianti “è colpa del piddì” o il più istituzionale “è colpa delle amministrazioni precedenti”, ritornello utilizzato più o meno ogni due ore da Virginia Raggi, il peggior sindaco che la Capitale abbia mai visto (non me ne voglia Gianni Alemanno). La formula standard viene puntualmente pronunciata quando il partito della Casaleggio Associati deve rispondere di qualcosa di grave, dalle inchieste giudiziarie che coinvolgono i suoi esponenti ai piccoli e grandi disastri di cui si rendono protagonisti i “ragazzi meravigliosi”, sia nei livelli locali che al governo nazionale.

Stamane, a proporre la fatidica frase auto-assolutoria è stato il vicepremier e “capo politico” Luigi Di Maio, che riferendosi al documento inviato dalla Commissione Europea al Governo verde-giallo (una missiva che di fatto avvia la procedura di infrazione nei confronti dell’Italia) ha scritto sulla sua pagina Facebook: “Ora si parla tanto di questa possibile procedura di infrazione e sapete cosa riguarda? Riguarda il debito prodotto dal Partito democratico nel 2017 e 2018”.

Il documento ovviamente dice altro: ad essere bocciate dalla Commissione Ue sono infatti le politiche economiche messe in campo dall’attuale esecutivo che – come si legge nel rapporto – non rispetterebbero “la regola del debito” nel 2018, nel 2019 e nel 2020, giustificando quindi una procedura per debito eccessivo.

A spiegare ancor meglio la questione è stato il vicepresidente della Commissione Ue, Valdis Dombrovskis: “La strategia del Governo italiano riguardo agli stimoli fiscali per promuovere l’economia non sta funzionando. Invece dello stimolo fiscale atteso, l’economia italiana è rallentata notevolmente e adesso l’Italia è il Paese che con una crescita dell’appena 0,1% è il più lento d’Europa. Il deficit di bilancio – ha continuato Dombrovskis – è aumentato, portando a una riduzione della fiducia e a un aumento dei tassi di interesse. È quindi importante che l’Italia ritorni sulla traiettoria della crescita economica concentrandosi sulle riforme strutturali e non sugli stimoli fiscali, perché non c’è lo spazio fiscale per farli”.

A smentire Giggino, quello che voleva fare il premier, ci sono anche i freddi numeri che certificano che il debito pubblico è tornato a crescere con l’attuale Governo, passando dal 131,4% rispetto al PIL del 2017 al 132,2% del 2018, con previsione di crescita al 135,2% nel 2020.

Insomma, come era prevedibile il conto dei regali elettorali dei due partiti populisti che da un anno “governano” il Paese rischia di essere salatissimo. E se la frase magica “e allora il piddì” continuerà a funzionare per esaltare i residuali fan del Mo’ vi mento sui social network, difficilmente il ministro Tria potrà proporla in sede di contrattazione al tavolo di Bruxelles.

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