Partiti e politici
Dopo il Brancaccio
Ignorata dai media prima e durante, l’assemblea del Brancaccio è stata un evento politico di grande rilievo: lo testimoniano non solo la grande partecipazione, ma la varietà di commenti che ha suscitato.
Spiace però constatare che si tratta quasi solo di reazioni tattiche, prive di contenuto politico: dai vittimismi dei pisapiani per i fischi subìti ai mugugni di d’Alema per l’estremismo di alcuni relatori, dal consueto dileggio dei renziani all’ennesima accusa di minoritarismo da parte del solito Michele Serra, nessuno ha risposto nel merito al problema posto dal palco del Brancaccio.
Si può non condividere la ricostruzione totalmente negativa che Montanari ha fatto delle esperienze dell’Ulivo e del Pd, ma quel racconto è servito a mettere in chiaro un preciso punto di partenza: la terza via, cioè il tentativo della sinistra di conquistare il potere spostandosi al centro (ovvero, verso destra) è stata un errore nel quale perseverare sarebbe diabolico, perché – come ha ammesso, con onestà intellettuale, lo stesso Prodi – le ha fatto dimenticare la sua vera missione: l’uguaglianza. Di conseguenza nessuna alleanza è possibile con l’attuale Pd, che quella via ha percorso e intende continuare a percorrere sotto la guida del segretario Renzi.
A questa analisi, certamente tranchante ma di apprezzabile chiarezza, nessuno ha risposto.
Il Pd, additato senza mezzi termini da Montanari come “partito di destra”, non ha saputo – o forse non ha voluto – controbattere: segno che il suo terreno di caccia elettorale è davvero ormai oltre il confine dell’area politica nella quale è nato.
I fuoriusciti dal Pd, per bocca di d’Alema intervistato sul Manifesto, hanno ribadito la necessità dell’ union sacrée del tradizionale centrosinistra contro le forze anti-sistema: oggi ci sono Grillo e Salvini al posto di Berlusconi, ma lo schema mentale è quello – perdente – di sempre.
Pisapia è rimasto in silenzio: forse comincia a capire che la sua bella favola di un nuovo Ulivo che governa in autonomia, senza bisogno di larghe intese, è destinata a naufragare contro il progetto renziano di candidare il partito del sì al referendum costituzionale (“da Tosi a Pisapia”, ovviamente lasciando fuori Bersani & soci).
Se a sinistra la confusione regna ancora sovrana, insomma, la colpa non è dei protagonisti del Brancaccio, ma dei loro potenziali interlocutori: dai quali è lecito attendersi, nel giro di poche settimane, una presa di posizione chiara. Nel frattempo, c’è da augurarsi che lo slancio che domenica ha portato circa duemila persone a riunirsi a Roma (e ne ha tenute più di sessantamila collegate allo streaming video) non si esaurisca, ma si concretizzi in una procedura democratica condivisa per elaborare un programma e selezionare la classe dirigente che, entro pochi mesi, dovrà candidarsi a realizzarlo
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