Partiti e politici
Di Maio sfida Salvini sulla pelle dei fattorini
Si preannuncia una settimana calda, forse già da lunedì, il neoministro del lavoro Di Maio,“ evidentemente indispettito dall’occupazione della scena mediatica del ministro Salvini con la chiusura dei porti e le “crociere dei migranti”, passa al contrattacco per decreto.
Il testo del “decreto Dignità” (non quella dei copy immagino) circola, anche se non è di pubblico dominio, ed è quello che dovrebbe essere il primo attacco al Jobs Act e al decreto Poletti da parte del nuovo esecutivo e punterebbe a rimediare allo sbilanciamento a destra che ha caratterizzato le prime uscite del governo Conte (il quale viaggia ma non parla).
Non si parla di reintroduzione dell’articolo 18, ma di ripristinare la causale nei contratti a tempo determinato e ridurne i rinnovi e soprattutto di rivoluzionare l’inquadramento dei lavoratori della gig ecconomy, i cui esponenti più conosciuti sono i fattorini che consegnano il cibo dei ristoranti ordinato sulle varie piattaforme. Il ministro intende equiparare i fattorini ai lavoratori dipendenti, riconoscendo la “subordinazione” quella che solo pochi mesi fa il tribunale di Torino aveva negato (applicando le leggi vigenti) ai lavoratori di Foodora (e che decenni fa fu negata ai pony express). La motivazione di quella sentenza, in estrema sintesi, è che il datore di lavoro non è un vero datore di lavoro perché non può sanzionare l’assenza.
La scelta del governo è quindi di utilizzare il machete in un ambito che sta arrovellando giuristi ed economisti in tutto il mondo. Se è vero che le persone che lavorano per le piattaforme digitali non sono veri e propri dipendenti è altrettanto vero che non sono lavoratori autonomi come un idraulico. Sembrerebbe una terza figura, che sta nella zona grigia che spesso caratterizza la realtà e che la legislazione (o la teoria economica) fatica a comprendere o a tradurre in norme. Servirebbero cautele, riflessioni ed approcci graduali quelli che temo siano le lacune più gravi della compagine governativa.
Siamo di fronte a un lavoro vecchio (la consegna a domicilio) che è diventata gestibile su larga scala grazie alla diffusione degli smartphone geolocalizzati, è un’opportunità di creazione di valore come direbbero gli economisti. Bisogna capire come spartirsi il surplus, senza però impedirne la creazione.
Innanzitutto sarebbe utile che ci fossero dati più ufficiali e meno di parte sulla tipologia dei lavoratori e del loro impegno orario. Finora quelli che circolano provengono tutti dalle società di consegna (Foodora, Deliveroo, Glovo e Just Eat) e sembrano descrivere all’incirca la stessa fotografia: la stragrande maggioranza dei fattorini lo considera un lavoro temporaneo (10%), aggiuntivo (25%) o part-time (50%). Una fotografia diversa da quella presentata da alcuni gruppi organizzati di riders o da alcune formazioni politiche. Tutte appunto fonti di parte. Sembrerebbe quindi che anche i lavoratori apprezzino la flessibilità che questo tipo di lavoro fornisce e renderli lavoratori subordinati forse non risponde alle loro richieste, o almeno non a quelle della maggioranza di loro. Se l’attuale paga a cottimo è decisamente un brutale sfruttamento perché, oltre ad essere bassa, scarica sulla parte più debole tutti i rischi della consegna (tempi dei ristoranti, imprecisione nei dati rilasciati dai clienti, intemperie, incidenti, traffico) si potrebbe introdurre un salario minimo orario con una parte variabile per ogni consegna (così da incentivare il lavoratore).
A sinistra, giustamente, si pensa che la “flessibilità vada pagata” ma in questo caso la flessibilità è un valore per entrambe le parti in causa, datore di lavoro e lavoratore, ed eliminarla trasformandoli per decreto in dipendenti non è, a mio parere, la soluzione.
Paradossale, ma forse no, che l’idea di risolvere un problema nuovo con un metodo vecchio arrivi dal partito che si è dichiarato paladino della modernità e scardinatore delle vecchie liturgie. Farebbe quasi sorridere anche la richiesta di rendere pubblico e modificare in base alla normativa che verrà l’algoritmo interno alle varie società per il calcolo della reputazione dei rider, non fosse che questa stessa richiesta proviene dal partito che gestisce strumenti di democrazia diretta in maniera estremamente opaca.
Le società di consegna minacciano (credibilmente?) di andarsene dall’Italia se il decreto Dignità verrà approvato così come sta circolando, perché la rigidità del nuovo inquadramento non sarebbe economicamente sostenibile. Quello che è sicuro è che non scompariranno le consegne a domicilio e forse torneranno nel sommerso ancora meno tutelato da cui erano uscite. Sarebbe nel caso un altro pezzo di base imponibile che scompare, ma di quello ci preoccuperemmo nella settimana della flat tax.
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