Partiti e politici
Di Maio non piace molto agli elettori 5 stelle
Luigi Di Maio è dunque il candidato-premier per il Movimento 5 stelle, attraverso primarie non proprio “democratiche” dal punto di vista dell’offerta, senza cioè avversari che potessero in qualche modo dargli un po’ di filo da torcere. Non che quelle del Pd o del centro-sinistra, nel tempo, siano mai state realmente competitive: Prodi nel 2005 non aveva grossi avversari, così come Veltroni nel 2007 o Renzi nel 2013 e nel 2017.
In fin dei conti, le uniche primarie nazionali dove la competizione era un po’ serrata sono state quelle che vedevano in lizza Bersani e Renzi, nel 2012, dove si finì addirittura al ballottaggio per decidere il vincitore, il candidato premier del centro-sinistra. Dunque, stracciarsi le vesti per questa ovvia incoronazione di Di Maio mi pare un pochino forzato.
Piuttosto, è la scarsa numerosità dei votanti che desta qualche perplessità; appare a prima vista, quanto meno, un segnale di mancanza di entusiasmo degli iscritti pentastellati nei suoi confronti, e (forse) un monito fatto giungere a Beppe Grillo di non condivisione del merito e del metodo adottato per questa scelta.
Ma sarà poi davvero così, o non sarà invece che i militanti e, ancor di più, gli elettori dei 5 stelle hanno un rapporto con i propri leader leggermente diverso da quello che si instaura nelle altre forze politiche?
In genere, per tutti i partiti, l’apprezzamento per il capo o il segretario o il presidente, insomma per il proprio leader indiscusso, è appunto indiscusso, tranne per alcuni casi isolati (come capitò ad esempio a Bersani, che non era amatissimo dagli elettori Pd quando era segretario). Solitamente, il grado di fiducia è significativamente superiore all’80% dell’elettorato di quel partito, con punte quasi plebiscitarie oggi per Salvini o Meloni e, un tempo, per Berlusconi o Veltroni.
Gli elettori 5 stelle, al contrario, non stravedono per Grillo, per Di Maio o per Di Battista, né l’hanno mai fatto, nemmeno per lo stesso fondatore del Movimento nei tempi migliori. Il tasso di apprezzamento, la quota cioè di voti positivi, è sempre restato compreso tra il 60% ed il 70%, con punte anche inferiori in alcuni momenti della loro storia recente. Di Battista è oggi amato solo dal 57% degli elettori pentastellati. Il che significa, di converso, che i leader 5 stelle non piacciono ad una quota superiore al 30% e vicina al 40% di chi comunque vota per il Movimento.
Che significato dare a questi numeri, dunque? Visti da un certa ottica, si potrebbe affermare che la fiducia che gli elettori ripongono nei maggiori rappresentanti del M5s sia bassa perché il movimento non si riconosce in un leader, ma si riconosce soprattutto nel movimento stesso, che non deve replicare gli errori delle altre forze politiche, in cui solo il leader detta la linea, e a questa ci si deve adeguare.
Visti da un’altra ottica, al contrario, si potrebbe ipotizzare che quegli elettori siano in cerca di un leader più credibile, che possa dar segno di competenza, capacità e appeal che quelli attuali non hanno, per poter divenire buoni governanti del paese. E la scarsa partecipazione degli iscritti sarebbe in questo caso paradigmatica di una insofferenza di base per un capitale umano giudicato non (ancora) all’altezza di quel compito così arduo.
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