Partiti e politici
Di cosa parliamo quando parliamo di Movimento Cinque Stelle
Sembra assurdo pensarlo ora, ma c’è stato un tempo, tanti anni fa, in cui se dicevi “blog di Grillo” veniva in mente una cosa nuova, moderna, in netta contrapposizione con il mondo paludato della politica e della societá italiana.
Erano gli anni in cui la destra prendeva a pallonate la Costituzione col tridente Berlusconi-Bossi-Fini e a sinistra giravano pezzi d’antiquariato del Novecento come Turigliatto o corpi volanti non identificati come Pecoraro Scanio; gli anni in cui i “grillini” erano quelli del web, del mondo digital, quelli che non facevano assemblee ma facevano i “meet up” e che per ogni riunione, fosse anche quella del loro condominio, tiravano su un live-streaming sui social.
A dire il vero, bastava dare un occhio a chi, nel Movimento, si occupava (e si occupa tuttora) di comunicazione per avere seri dubbi sul fatto che questa immagine “moderna” e futurista corrispondesse al vero: in quel Rocco Casalino reduce del primo Grande Fratello, indimenticato protagonista, nei suoi successivi anni a “Buona Domenica”, di animate dispute con pensatori del calibro di Solange o Costantino Vitagliano, si faceva (e si fa) molta fatica a riconoscere uno stratega del calibro di Jim Messina o Daniel Pfeiffer.
Ora, finalmente, con il bacio al miracolo di San Gennaro il campo è finalmente stato spazzato da ogni dubbio. Altro che web, altro che innovazione, altro che modernitá: nel momento in cui grillini si candidano seriamente a governare il Paese, il segnale – frutto di precisa strategia politica e comunicativa – lanciato dal futuro candidato premier non potrebbe essere piú chiaro.
Il Movimento Cinque Stelle sceglie, finalmente, di rappresentarsi per quello che è, oltre ogni ragionevole dubbio, e l’Italia a cui dichiara di ambire è l’Italia profonda, quella cantata da Toto Cutugno nell’Italiano medio, quella che la domenica va a Messa, che dice cose tipo “pane al pane e vino al vino” e a Rimini compra la maglietta con su scritto “omo de panza omo de sostanza”, che la prima cosa che legge sul giornale è l’oroscopo, che ha tanti amici gay però è contraria al matrimonio omosessuale, che sui vaccini si è “documentata” e ora “la pensa diversamente”, che non guarda Netflix e spesso manco Sky, che è fuoricorso, che è orgogliosa di essere qualcosa, che non parla inglese ma dialetto, che sul profilo social ha un album intitolato “Semplicemente io”, che si fa un tatuaggetto con scritto “ció che non mi uccide mi fortifica” o roba del genere, che tra amici si chiama “bomber” o “‘mbare”, che vive a casa di nonna, che pensa che il “Pinochet” sia un vino, che a Natale non si perde un cinepanettone, che va in spiaggia col marsupio, che 150 altrimenti 100 senza fattura, che se ti vesti cosí allora bella mia te la sei andata a cercare, che si stava meglio quando si stava peggio, che qualunque cosa scrive aggiunge alla fine !1!.
L’Italia, insomma, che piuttosto che guardare avanti si cava gli occhi, e che rimane attaccata come una cozza allo scoglio delle tradizioni perché se per un secondo solo provasse a nuotare affogherebbe all’istante.
Esattamente la stessa, per intenderci, dei moti di Reggio Calabria del 1970: non è un caso che i padri di Di Maio e Di Battista siano stati entrambi ferventi missini in anni in cui “missino” era un bell’eufemismo per dire “fascista”.
Si sa cosa si dice sempre in questi casi: criticare Di Maio, e l’Italia che lui intende rappresentare, vorrebbe dire criticare “la gente”, o addirittura disprezzarla, e cosi’ facendo non si farebbe altro che rendere lo stesso Di Maio una vittima, finendo per aiutarne la causa; ma io credo, al contrario, che si debba avere davvero una bassa concezione della “gente” per pensare che “la gente”, in Italia, sia solo questo, per credere che davvero, nel 2017, la maggioranza delle persone orienti il proprio voto verso Luigi Di Maio al vederlo limonare col miracolo di San Gennaro.
Certo se politica, TV, giornali continuano e continueranno tutti insieme ad inseguire sempre e solo quel tipo di gente, quel tipo di Italia, allora si che, alla fine, chi ha ancora la forza di credere in un’Italia diversa finirà per farsi da parte del tutto, lasciando campo definitivamente libero ai populismi e ai loro infiniti rappresentanti di tutti gli schieramenti politici.
Ma se c’è qualcuno, a destra come a sinistra, a cui interessa davvero un’Italia diversa, che incominci – una buona volta – a smettere di lisciare il pelo all’Uomo Della Strada per tirargli, finalmente, un bel cazzotto: e dica chiaramente, tanto per cominciare, che questo Paese non ha bisogno di miracoli, di vescovi e di San Gennari, ma semplicemente di una legge sul testamento biologico, dopo la morte infame di Dj Fabo.
Altrimenti ci si prepari, serenamente, al primo governo del Presidente Di Maio.
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