Partiti e politici
De Magistris apre la caccia ai ‘traditi’ dal M5S
L’iniziativa del sindaco di Napoli sabato a Roma, aldilà delle suggestioni municipaliste e dei riferimenti alla Costituzione, chiarisce più ciò che il suo nuovo soggetto politico non sarà o non vuol essere che ciò che si propone di fare concretamente. A parte aprire la caccia ‘da sinistra’ agli elettori Cinque Stelle delusi dal ‘tradimento’ di Di Maio (e di Fico).
In un mattino ancora freddo c’è una certa sorpresa per i primi intirizziti arrivati al Teatro Italia, a Roma, per assistere all’iniziativa di lancio del nuovo soggetto politico del sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, ‘#oltreledisuguaglianze, Per una nuova coalizione dei popoli’. Sull’entrata principale della sala campeggia un cartello a colori: ‘Accrediti partecipanti’. ‘Cosa? E’ necessario essere accreditati per poter partecipare all’assemblea?’ ‘Sì, perché c’è tanta gente che viene da fuori e volevamo assicurare loro il posto a sedere’. ‘Ma non potevate prendere una sala più grande?’ E’ un po’ imbarazzato il malcapitato militante messo a guardia della porta centrale e così, poco dopo, viene messo un altro cartello, un foglio scritto a biro con la scritta ‘Non accrediti’, appiccicato all’entrata laterale, e si forma una seconda coda. Per chi sta in attesa, vista la temperatura e l’età media non più primaverili, il primo impatto non è dei migliori. Ma degli 800 posti del teatro quando inizia l’assemblea solo tre quarti sono occupati, mentre la gente continua ad arrivare alla spicciolata e la sala si riempirà, abbondantemente oltre la capienza, man mano che ci si avvicina all’intervento del sindaco. Ci sono le seconde file dei partiti, che De Magistris non ha voluto sul palco, perché – spiegherà – a nessuno si chiede di pentirsi degli errori passati, ma nel nuovo soggetto politico ci vogliono persone credibili, e ci sono militanti e semplici curiosi, prevalentemente dal centro e dal sud, molti dalla Campania naturalmente, giovani, a giudicare dal colore (e dalla quantità) dei capelli visibili dalla galleria, pochini.
Quando arriva il ‘sindaco d’Italia’ (come invoca qualcuno) la platea si riscalda e la sensazione che dopo tanti anni la sinistra possa avere ritrovato un leader in grado di infiammare gli animi si diffonde, mentre i membri dello staff si muovono per la sala e su è giù dal palco in modo sempre più concitato man mano che si avvicina l’inizio. Sul palcoscenico dell’Italia niente scenografie da Leopolda, ovviamente, ma, nell’ordine un leggio per la ventina di oratori che si avvicenderanno nel corso della mattinata, 5 minuti a testa, tra l’introduzione del segretario di DeMa, il movimento politico del sindaco, e le conclusioni dello stesso De Magistris, poi il trespolo del presentatore e le sedie su cui il sindaco e il suo bracco destro assistono al dibattito. Dopo l’annuncio dell’apertura di un ‘terzo spazio politico alternativo all’establishment e al sovranismo’ e l’evocazione di un pantheon laico del movimento (Vittorio Arrigoni, Giulio Regeni, del passato solo Rosa Parks) iniziano gli interventi: si apre con una rappresentante della Casa delle Donne messa sotto sfratto dalla Giunta Raggi, seguono attivisti dalla Terra dei Fuochi e dai comitati contro il Terzo Valico, il rappresentante di Altragricoltura e dell’ARCI, l’immigrata ivoriana e dirigente di DeMa a Napoli e lo studente della Rete della Conoscenza, l’ex giudice costituzionale Maddalena, che evoca Keynes e Cecilia Strada, il giornalista oggetto di minacce per le sue inchieste sull’estrema destra e tanti altri, verso la fine anche una lavoratrice di Comdata, a rischio disoccupazione, anche se i temi che sembrano scaldare il cuore della platea sono altri: l’antimafia innanzitutto e poi questione di genere e antifascismo.
Come recita uno dei manifesti affissi lungo le pareti della sala: ‘Il diritto è il più potente strumento di trasformazione sociale’, in caratteri cubitali , segue, in corpo più piccolo, la precisazione ‘se interpretato in modo costituzionalmente orientato e se si connette con le masse popolari’, formula che sembra scaturire più da un manuale di diritto costituzionale che dai Diari del Che e dove l’acrobazia verbale riflette quella politica: mettere insieme chi si sente di sinistra, magari anche comunista, e chi invece si sente semplicemente un partigiano della Costituzione, che, spiega De Magistris,‘non è né di destra né di sinistra’. Del resto, spiegherà nelle sue conclusioni, ‘se io a Napoli mi fossi presentato come il sindaco dei centri sociali’ non avrei certo potuto vincere le elezioni, anche se ai centri sociali lancia messaggi in codice quando illustra, con piglio da docente di diritto penale, quegli articoli del Decreto Sicurezza che andranno a colpire chi occupa gli edifici e blocca le strade. La ‘differenza tra il diritto e la legalità’ è la formula con cui il sindaco prova a tenere insieme giudici costituzionali e antagonisti. ‘A Napoli abbiamo deciso di combattere quelle norme che sono legge ma non rispettano i principi costituzionali’.
‘E’ giunta l’ora della costruzione di un fronte popolare democratico, senza politici predeterminati, senza recinti tradizionali’ è l’altra massima del libretto arcobaleno del sindaco, che campeggia sul palco mentre a parlare è un plenipotenziario della ‘amatissima sindaca di Barcellona’ (così la chiama più volte), Ada Colau, che precederà il videomessaggio registrato di un minuto del leader di Podemos, Pablo Iglesias. Insomma è più semplice spiegare che cosa non sarà o cosa non vuole essere (antimafia, antifascista, antisessista, contro le grandi opere e così via) il soggetto lanciato sabato a Roma piuttosto che ciò che esso vorrebbe essere. E non bastano le suggestioni municipaliste lanciate da più parti, inclusi gli oratori di due movimenti civici di Bologna e di Padova, e il riferimento alla Costituzione del ’48 a rendere concrete le formule algebriche appese alle pareti e incastonate nei discorsi del sindaco e dei suoi seguaci.
A essere molto chiaro, invece, è il target a cui si rivolgono le conclusioni di De Magistris: quel settore di elettorato, di sinistra e non, che il 4 marzo ha votato CinqueStelle e che il Movimento ha ‘tradito’. Un elettorato che De Magistris comprende – lo avrebbe fatto anche lui scandisce – e che i vertici del M5S hanno portato dritto dritto nelle braccia del ‘fascista Salvini’, questa la grande responsabilità, di fronte a cui i guai familiari di Di Maio sono bazzecole. Tra i CinqueStelle il sindaco non salva nessuno. A essere colpito non è solo il ‘capo politico’, ma anche il leader della cosiddetta ‘sinistra interna’, il Presidente della Camera, Roberto Fico, che il sindaco tira in ballo facendo nome e cognome e ricordandogli i tanti convegni sull’acqua pubblica, mentre l’acqua è diventata pubblica solo a Napoli, ma non a Roma e a Torino.
Unire i delusi della sinistra, i delusi dai Cinque Stelle, la sempreverde ‘società civile’, unire in nome della Costituzione e dei movimenti, è l’imperativo categorico che emerge dagli interventi al Teatro Italia. Nel frattempo però affiorano le prime crepe, come quelle che oggi dividono il sindaco da Varoufakis. Dopo che qualche mese fa l’ex Ministro delle Finanze greco fa era volato a Napoli per salutare la confluenza di DeMa nella lista transnazionale che il suo movimento, Diem25, ha lanciato in vista delle europee del prossimo maggio, oggi i rapporti si sono raffreddati e Varoufakis continua ad augurarsi di averlo nelle proprie file, ma allo stesso tempo evoca lo spettro di un Frankestein, che, cioè, il soggetto nato sabato a Roma, si riveli l’ennesima armata Brancaleone dei vecchi partiti della sinistra. E naturalmente c’è la frattura con PaP, il movimento nato dal centro sociale ex OPG col sostegno esplicito, seppur non ostentato, del sindaco di Napoli. Per le componenti extrapartitiche di PaP questa nuova operazione politica ha rappresentato un fattore destabilizzante, innescando lo scontro con Rifondazione (PuntoCritico191018) e l’ex PdCI (oggi PCI), delusi dal risultato elettorale del 4 marzo e sensibili al richiamo della foresta dell’ennesimo cartello elettorale con Sinistra Italiana, in salsa movimentista e impreziosita dall’innegabile carisma di De Magistris. Nei giorni scorsi il segretario di Rifondazione, Maurizio Acerbo, ha scritto a Viola Garofalo e a Giorgio Cremaschi, chiedendo in modo formale la convocazione del direttivo dell’associazione, evidentemente con l’intenzione di mettere in discussione più che le scelte di PaP, la possibilità di chi oggi lo dirige di continuare a utilizzarne il nome e il simbolo, con buone possibilità di riuscirvi. PaP a sua volta sarebbe diviso in tre correnti di pensiero: chi è per trovare il modo per confluire nel soggetto di De Magistris, chi vorrebbe provare a raccogliere le firme e presentare una propria lista e chi invece propende per il ‘né aderire né sabotare’. Tre ipotesi di cui obiettivamente solo la prima e l’ultima appaiono realistiche, perché l’obiettivo di raccogliere le firme in proprio, senza il contributo dei vecchi partiti, in crisi quanto si vuole, ma ancora dotati del minimo di struttura necessario, è proibitivo. Significherebbe, ad esempio, dover inviare da fuori dei militanti in Val d’Aosta a organizzare i banchetti nelle strade per raccogliere migliaia di firme.
Nel frattempo volano gli stracci e PaP, oltre a rendere pubblica la lettera di Acerbo (con allegata risposta di Garofalo e Cremaschi) ha dovuto rispondere anche a chi chiedeva perché i suoi esponenti sabato a Roma non ci fossero. De Magistris avrebbe vietato la partecipazione di PaP, in quanto movimento politico, lasciando ad alcuni suoi esponenti, ma non ai leader dell’ex OPG, la possibilità di intervenire in quanto semplici portavoce di comitati e associazioni. Una spiegazione verosimile, visto che si tratta delle stesse condizioni che il sindaco aveva imposto anche agli altri partiti e questi non avrebbero tollerato eccezioni.
Ad amplificare le contraddizioni italiane contribuiscono le relazioni internazionali. Perché PaP qualche tempo fa aveva invitato a Napoli Jean-Luc Melenchon, cercando di stringere una relazione con France Insoumise, oggi principale sponsor di sinistra dei gilets jaunes francesi, ma Melenchon a sua volta ad aprile a Lisbona aveva siglato un patto col Bloque de Esquerda portoghese e con Podemos, il cui portavoce Iglesias sabato in video si dichiarava ‘vicino a Luigi e all’esperienza di Napoli’. Insomma grande è la confusione sotto il cielo. Su un unico punto pare esserci chiarezza: i corni che aprono la caccia ‘da sinistra’ all’elettorato in allontanamento dai Cinque Stelle hanno cominciato a suonare.
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