Partiti e politici
De Luca, “sceriffo” pop e populista
Tra le tante polemiche che hanno caratterizzato la politica ai tempi del coronavirus c’è anche quella sul “colpo di stato” che Conte avrebbe fatto accentrando nella sua persona con i dpcm poteri e competenze scavalcando parlamento e regioni. Si è parlato di clima autoritario, di rischio per le libertà personali. Non siamo ancora arrivati alle proteste di piazza viste nelle Americhe dei Trump e dei Bolsonaro contro il lockdown (e le mascherine) ma non è escluso che ci si arrivi in qualche parte d’Italia.
Ma a ben guardare il “dittatore” non si trova a Palazzo Chigi, ma va cercato altrove, sempre sulla scena nazionale. E’ un leader che è diventato famoso nei ultimi tre decenni per lo stile decisionista, per le maniere forti, per il linguaggio esuberante. Qualità che oggi sono più costitutive della “personalità autoritaria” di un Trump, di un Bolsonaro, di un Johnson (pre-malattia), e in genere dei leader della destra sovranista. Ma qui si tratta di un leader che proviene dalla sinistra “pura e dura”, quindi un autoritario, sì, ma… democratico. Vincenzo De Luca, questo l’ “uomo forte” di cui parliamo, è il personaggio che impersona lo sdoganamento della quota di illiberalismo che alberga anche nei partiti progressisti. Lascio ad altri le riflessioni di teoria politica e le critiche di natura politico-partitica, e mi limito a esaminare il “fenomeno” dal punto di vista della comunicazione politica. E ciò che appare evidente – visto che De Luca è un soggetto politico arcinoto da trent’anni – è che si tratta di uno che oltre al fare non si tira indietro dal parlare. In tempi di coronavirus lo si è visto iperattivo in questa attività locutoria, in cui anche gli avversari gli riconoscono una bravura speciale. Cito da uno studio il lessico recente: “cafoni, infami, sfessati, animali, mezze pippe, farabutti, nullità, chiavica, pulcinella, chiattona, jettatori, bestie, anime morte, consumatore abusivo di ossigeno, ci vuole il lanciafiamme, cinghialone, fratacchione”. De Luca è anche famoso per le sue performance televisive in cui esterna le sue opinioni politiche e lancia avvertimenti ai politici (avversari e colleghi di partito) usando questo tipo di lessico. Le sue esibizioni da avanspettacolo hanno attirato l’attenzione (e gli strali) della satira. Crozza ne ha ricavato un personaggio divertente, la Rete l’ha “memizzato” a più riprese, qualcuno ci ha fatto pure un videogioco.
In breve, de Luca è diventato una pop star. La domanda è se non sia anche un leader populista. E’ nota la difficoltà tra gli studiosi di convergere su una definizione chiara di populismo, e come ci sia il populismo di destra e di sinistra, e anche quello “endemico” o trasversale, in cui cadono a volte anche leader e partiti tradizionalmente aperti e moderati. Ma è accettata la natura “discorsiva” del fenomeno populista, ossia che si tratta (anche) di uno stile di comunicazione, in cui abbondano i toni di sfida, le retoriche infuocate, l’esaltazione del popolo (sempre buono) contro i gruppi di potere (sempre cattivi). La pratica politica di De Luca nei suoi lunghi anni di sindaco e di presidente di regione non è certamente da annoverare tra quelle tipiche del populismo sovranista nostrano, ma qualche assonanza con quest’ultimo la si trova nel suo stile di comunicazione. Cioè nel suo linguaggio, nel suo carattere decisionista e sbrigativo, nei toni irriverenti con cui apostrofa gli avversari di turno, in breve nel suo autoritarismo. De Luca, ex PCI, ex DS, governatore in forza al PD, “spopola” in una regione a maggioranza di Centro-destra (Elezioni 2018). Il suo è un appeal trasversale, che fa leva su fattori che prescindono dalle polarizzazioni ideologiche, ma che si spiegano in termini di personalità, di capacità comunicative, di empatia. Lo “sceriffo” piace a molti, nonostante o forse proprio grazie alle sue “sparate”.
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