Partiti e politici
Dario Corallo e il PD che merita l’estinzione
Romano, classe 1987, Dario Corallo si è candidato alla corsa per la segreteria nazionale del PD in un momento in cui il partito sta vivendo forse la più grave crisi dalla sua fondazione. Liceo classico, una laurea in Filosofia, indizi che, oggi come oggi, potrebbero definirlo come un idealista o forse un pazzo. Qualcuno, sicuramente, propenderà per la seconda ipotesi vista la scelta di candidarsi contro alcuni dei più noti personaggi della politica italiana con alle spalle – così ci dice – il solo “apparato” dei suoi sostenitori. Corallo è cresciuto politicamente al circolo Lauretino 38, dal 2008 – per un anno – portavoce dei Giovani Democratici (GD). Nel 2014 diventa capo ufficio stampa e responsabile comunicazione nazionale dei GD, mentre dal 2016 – fino a fine mandato del ministro – lavora all’ufficio stampa del Ministero delle politiche Agricole e Forestali all’epoca guidato da Maurizio Martina, ora sua “avversario” al congresso. Alla marcia Perugia-Assisi ha lanciato con un selfie la sua candidatura e oggi, città per città, sta costruendo la sua squadra nei territori per provare a cambiare il partito. Lo abbiamo incontrato a Parma, in occasione della prima iniziativa di circolo organizzata, nemmeno a dirlo, da un gruppo di giovanissimi che da qualche tempo animano il – generalmente anziano – scenario del PD locale. Abbiamo provato a fargli qualche domanda e, posso già anticiparvi che, come da gergo giovanile, in questa intervista Corallo la “tocca pianissimo”.
Partiamo dalle basi: perché la tua candidatura?
Già da prima delle elezioni abbiamo iniziato a ritrovarci con alcuni compagni e amici. Sapevamo che il Pd stava andando incontro al disastro. Allora ci siamo detti che o ci davamo da fare seriamente o forse era il caso di mollare. Abbiamo scelto la prima e ora eccoci qui.
Rapporti col partito: c’è chi ti ha paragonato al giovane Renzi, ma hai smentito decisamente. Nel PD di oggi con chi senti vicinanza (se la senti)?
Alla base. Io sono sempre stato un militante. Anche ricoprendo incarichi nell’organizzazione giovanile, io ho sempre inteso che il dirigente altro non fosse che un militante con qualche responsabilità in più e qualche dovere in più. Dei dirigenti purtroppo nessuno. Se qualche anno fa mi avessero detto che oggi avrei pronunciato le parole che sto per dire, non ci avrei creduto. E vi assicuro che un po’ mi vergogno, ma purtroppo è così: sono tutti uguali.
Circoli del PD: ormai chiusi, stanchi, popolati da un “pubblico” spesso decisamente over. Davvero per ripartire, come dicono in tanti, si può pensare che questa sia la base? E come?
Si può ripensare di far ripartire l’attività e il dibattito delle sezioni creando un ufficio ad hoc che si occupi di ricevere i verbali degli incontri nelle varie sezioni. Oggi quei pochi circoli dove ancora si discute, poi vedono la propria discussione cadere nel vuoto. I militanti sono stati considerati inutili. Così inutili che sentire ora tutti i candidati che hanno diretto il PD fino a oggi dire “dobbiamo ripartire da loro”, beh, fa molta rabbia.
Qualcuno dice che è finita l’epoca dei partiti del Novecento, sia dal punto di vista delle ideologie, sia dal punto di vista dei metodi. Meno militanza e partecipazione, più opinion leader e mobilitazione tematica. Il PD in questo senso nasce dalla fusione di due fra i più “classici” partiti novecenteschi. Come pensi potrebbe evolvere per recuperare un contatto con il presente?
Il contatto con il presente si ricostruisce studiando e analizzando il presente. Le associazioni si riempiono e si svuotano i partiti. Questo perché le persone ritengono di poter fare la differenza solo su singoli temi. Hanno perso la fiducia nei partiti e nella politica. Forse questo è accaduto perché non è più lì che si prendono le decisioni, ma nelle riunioni dei CDA di grandi aziende finanziarie, negli organismi sovranazionali ecc. Allora se un partito non conta nulla o quasi, perché dovrei prendere la tessera? A ‘sto punto mi iscrivo a una associazione e mi occupo di piccole cose: il parco, il centro rifugiati vicino casa, il canile ecc.
Cosa ne pensi della frase “partito degli amministratori” e di una certa linea, che qui in Emilia e a Parma in particolare ha importanti sostenitori, che vede negli amministratori il fulcro potenziale di un futuro lavoro politico?
Credo sia la più grande sciocchezza che il centro sinistra sia riuscito a partorire negli ultimi 10 anni. Continuiamo a dire che con il partito degli amministratori si vince.
Andiamo con ordine: il primo segretario del PD è stato Veltroni, sindaco di Roma. Veltroni ha perso e si dimise da segretario. Il secondo segretario eletto da un congresso è stato Bersani, ex presidente di regione, amministratore ecc. Bersani ha perso e si è dimesso.
Il terzo segretario eletto da un congresso è stato Renzi, sindaco di Firenze. Ha perso e si è dimesso per ricandidarsi. Diventa di nuovo segretario e perde di nuovo.
Serve il quarto segretario amministratore per capire che forse è necessario cambiare linea? La cosa assurda del PD è che continua a fare sempre la stessa cosa sperando che il risultato cambi.
Visto che siamo a Parma, che ne pensi del Partito dei sindaci di Federico Pizzarotti?
Penso che porti con se lo stesso errore del partito degli amministratori. La politica e l’amministrazione sono cose diverse, ciascuna con le sue peculiarità e le sue regole. Confonderle porta a una politica che cerca solo il consenso e a un’amministrazione che si dimentica dei territori. L’amministratore, il sindaco, deve conoscere il particolare, il nome delle singole strade e spesso delle singole persone. Il politico deve conoscere il piano globale, riuscire ad elevarsi rispetto al locale e vedere il tutto, come andasse a volo di uccello.
Veniamo ai valori: quali pensi siano quelli imprescindibili per il PD?
Uguaglianza, giustizia e solidarietà
Telegrafico e preciso. Passiamo ai temi. Per prima cosa ti chiedo quali sono, a tuo parere, i tre temi chiave per il Paese.
Il Lavoro prima di tutto. Bisogna innanzitutto scardinare la logica per cui per aiutare i lavoratori si debbano aiutare gli imprenditori. No: per aiutare i lavoratori devo aiutare i lavoratori.
Serve che lo Stato torni prepotentemente nell’economia e si faccia datore di lavoro per tutti i servizi essenziali: energia, acqua, trasporti. Lo Stato deve alzar gli standard lavorativi che con il monopolio del privato sono andati calando sempre più, fino ad arrivare al paradosso di tutte quelle persone che pur lavorando sono povere. Cosa deve fare una persona più che lavorare?
L’affaire Burioni ha sollevato un vespaio. Dì la verità, in parte cercato comunicativamente parlando. Il tema però è importante. La relazione contenuti e forma è importante: cosa si dice, ma anche come e con che modalità. La questione è delicata: da una parte c’è chi sostiene la necessità di una comunicazione popolare, attenta anche al sentiment del pubblico, dall’altra chi denuncia un decadimento culturale forte e reagisce puntando il dito, anche con toni forti, contro coloro che lo portano (consapevolmente o meno) avanti. Se dovessimo polarizzare la questione fra chi sostiene che “non condivido la tua opinione, ma morirei perché tu possa esprimerla” e chi “del bel tacer non fu mai scritto”. Che questi anni siano caratterizzati da una presenza crescente dell’opinione ostentata e, spesso, opinione scorretta è chiaro, ma quale pensi possa essere la ricetta per cercare di porre freno a questa deriva culturale?
Il tema è semplice e proverò a dirlo con un esempio. Quando il PD era al governo, spesso veniva rivolta l’accusa di essere un governo non eletto dal popolo. A questo punto il militante o dirigente medio rispondeva: “nessun governo è mai stato eletto dal popolo. Il popolo elegge il parlamento! È nella costituzione che avete difeso il 4 dicembre!” col tono insopportabile da maestrini.
Se questa frase usciva dalla bocca di un politico navigato, ci poteva anche stare questa risposta (secondo me no, ma ognuno comunica come vuole). Ma quando questa frase arriva da un cittadino si deve pensare che forse stava solo cercando di dire qualcosa con parole che aveva sentito. E invece la prima cosa che faceva il militante era di correggerlo e di puntualizzare che sbagliava. Quella persona con quelle parole stava dicendo che non si sentiva rappresentato e loro lo hanno deriso. Non è una questione di libertà di espressione, ma un tema di “traduzione” dal linguaggio popolare comune al linguaggio politico e vice versa. Le parole non hanno sempre lo stesso significato, ma cambiano a seconda di chi le pronuncia. Se i nostri dirigenti avessero letto i quaderni di Gramsci, queste cose le saprebbero.
Ma hanno preferito dare dell’analfabeta funzionale. E anche qui, invece che riscoprire l’orizzonte pedagogico del Partito, hanno preferito deridere e mortificare.
Poi si stupiscono che perdono consensi. Ecco: questo stupore del gruppo dirigente è la cosa che più mi infastidisce. Meritano l’estinzione.
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