Partiti e politici

Dalle trivelle alla procura di Milano, quel filo tra Renzi e Berlusconi

20 Aprile 2016

Nei palazzi della politica non si sono mai sopiti i sussurri sul fatto che il patto del Nazareno non sia morto. O semplicemente che si sia trasformato in qualcos’altro. Un patto nascosto, silenziato, sotterraneo. Addirittura carsico: torna in superficie quando serve. Non sappiamo con certezza se questo sia vero o meno, certo è che un filo rosso che tiene uniti i destini di Matteo Renzi e Silvio Berlusconi sembra esistere. E resistere alla prova dei fatti. Prendiamo, ad esempio, il fatto clou degli ultimi giorni, il referendum sulle trivelle. L’ex Cavaliere ha lasciato ai suoi libertà di coscienza e Forza Italia si è divisa tra quelli che sono andati a votare e chi è rimasto a casa. Berlusconi fa parte dei secondi. E ai suoi ha confidato: “Questo referendum è una gran perdita di tempo e di soldi. I cittadini chiedono sicurezza e lavoro. E’ stato un voto assolutamente inutile”. Ossia le stesse identiche parole utilizzate dal premier. E’ vero che Berlusconi e Renzi la pensano allo stesso identico modo su molti temi, ma la coincidenza va registrata.

I teorici del “Nazareno occulto”, in queste settimane, possono poi annotare sul taccuino un altro elemento non da poco. Qui la location cambia: siamo a Palazzo dei Marescialli, giovedì pomeriggio, e il Csm ha appena finito di votare per eleggere il procuratore capo di Milano, incarico vacante dal 16 novembre 2015, dopo l’addio di Edmondo Bruti Liberati. Durante il plenum per scegliere il capo della procura più importante d’Italia è accaduto un fatto strano: la rappresentante di Forza Italia, Elisabetta Alberti Casellati, ex senatrice forzista ed ex sottosegretaria alla Giustizia, ha espresso la sua preferenza per Giovanni Melillo, capo di gabinetto del ministro Andrea Orlando in Via Arenula. Insomma, dalla rappresentante berlusconiana è arrivato l’unico voto ottenuto dal candidato del governo, cioè di Renzi, che ha buttato in campo Melillo per mettere il bastone tra le ruote a Francesco Greco, il favorito. La Casellati non è una qualunque: fedelissima di Berlusconi, è lei che l’ex premier mandava nell’agone delle trasmissioni più calde per difenderlo e contrattaccare su giustizia e inchieste. Era lei l’ospite più assidua in tv ai tempi della decadenza berlusconiana a causa della legge Severino. E sempre lei venne immortalata a protestare proprio davanti al tribunale di Milano insieme a una truppa forzista l’11 marzo 2013, primo giorno del processo Ruby.

Occorre dire che le correnti dei magistrati sono diverse e non sovrapponibili con quelle della politica (Melillo fa parte di una corrente di sinistra chiamata Area) e che all’interno delle toghe entrano in gioco altri fattori rispetto alla semplice appartenenza ideale. Ma il dato, registrato dai cronisti più attenti, è clamoroso. Cosa può far venire l’acquolina in bocca a Berlusconi più che influenzare a suo vantaggio la nomina della procura che più lo ha tartassato nei suoi vent’anni di politica? Tanto più che la nomina di Greco (3 voti giovedì) andrebbe a incastrarsi come in un puzzle con quella di Piercamillo Davigo all’Anm in una sorta di rinascimento 2.0 di Mani Pulite. Insomma, meglio Melillo. O il terzo candidato, Alberto Nobili (anche lui una preferenza). La Casellati è lì e farà pesare il suo voto anche alla prossima tornata, prevista per maggio.

Poi c’è Roma. Al momento non sappiamo se davvero l’ex Cav continuerà a insistere su Guido Bertolaso. Ieri sembrava più probabile la resa, oggi invece sembra prevalere la resistenza. Di sicuro Berlusconi vuole difendere il “dottor Guido” come candidato, e non è un caso se dall’incontro di ieri tra i due sia uscita la smentita di sondaggi che vedrebbero l’ex capo della protezione civile al 6%. Del resto nei palazzi romani si racconta una partita diversa. E cioè che a Berlusconi del Campidoglio non importi nulla (anzi consideri una iattura vincere a Roma) e finora il suo obbiettivo non sia stato altro che dare una mano a Renzi per facilitare la strada al “suo” candidato, Roberto Giachetti. Se, infatti, a Milano il premier con Beppe Sala rischia grosso perché Stefano Parisi gli sta col fiato sul collo e a Napoli Luigi De Magistris è favorito su Valeria Valente, per Renzi non arrivare al ballottaggio a Roma con il suo fedelissimo Giachetti avrebbe il sapore di una deblacle totale. Da qui, raccontano le malelingue capitoline, la sponda dell’ex Cavaliere che avrebbe volutamente sgretolato una coalizione che, unita, avrebbe avuto reali possibilità di andare al ballottaggio e anche di vincere. Invece il centrodestra è ancora in campo con quattro candidati destinati a fine incerta: Bertolaso, Marchini, Meloni e Storace. Un cadeaux coi fiocchi per il presidente del consiglio da parte del suo ex alleato. Del resto, anche qualora il candidato Bertolaso fosse spinto a lasciare il campo, si aprirebbe una nuova partita, per Forza Italia: convergere sulla Meloni, o darle battaglia con Alfio Marchini? Una scelta non neutra, anche per capire gli interessi più ampi che l’ex cavaliere sta mettendo in campo, mentre finge di giocare la sua partita del Campidoglio.

Infine, il caso Verdini. Che, da quando ha lasciato Forza Italia, viene trattato con i guanti bianchi dai parlamentari berlusconiani e dalla stampa vicina agli azzurri. Tutt’altro tono rispetto al divorzio di Angelino Alfano, quando il ministro dell’Interno già dal giorno dopo era additato come un traditore della peggior specie. Per non parlare di Gianfranco Fini. Su Verdini, invece, silenzio, rispetto, comprensione. Sorge dunque il sospetto che il legame tra Silvio e Denis non si sia mai spezzato davvero e che, anzi, il divorzio da Forza Italia, la nascita dei gruppi di Ala e il suo sostegno al governo Renzi sia avvenuto con la benedizione di Berlusconi. Magari la questione non sarà letteralmente in questi termini. Ma è significativo che uno dei più fidati confidenti di Verdini sia Antonio Angelucci, deputato di Forza Italia intimo di Berlusconi nonché editore di Libero. I due, Verdini e Angelucci, sono inseparabili. E gli spifferi dei palazzi sussurrano che sia proprio lui, l’imprenditore della sanità che in passato salvò dalla bancarotta il banchiere Verdini scucendogli senza colpo ferire 10 milioni di euro, il tramite con cui Silvio e Denis comunicano. O quello attraverso cui si controllano a vicenda. Che poi è la stessa cosa.

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