Partiti e politici

Da qui a maggio due congressi alla Kim Il-Sung democratico (il cuore non regge)

20 Febbraio 2017

Il problema per Matteo Renzi a questo punto è uno solo: come innervare il Pd di dissenso costruttivo. E soprattutto farlo in tempi rapidi, anche se qualsiasi azione “riparatrice” egli possa immaginare correrà il fortissimo rischio di non esser creduto. L’uscita di scena della minoranza, se volete chiamiamola pure scissione, porta con sé un’altra immagine, questa sì piuttosto dolorosa per l’ex segretario. L’immagine che il dissenso interno è stato sopito, azzerato, vero o falso che sia. Torti e ragioni, in questa fase, non hanno più nessuna importanza, conta invece che Matteo Renzi è da ieri pomeriggio un leader che può allegramente cantarsela “solo” (e da solo) con i suoi. E anche se gli riesce particolarmente bene, non è esattamente una condizione felice. Per lui medesimo e così, en passant, per qualche milioncino di elettori. (Risulterà noioso e poco attrattivo anche per noi semplici gazzettieri, ma questa è un’altra storia).

Ciò che ci aspetta da qui ad aprile, infatti, sono due-congressini-due alla Kim Il-Sung ragionevolmente democratico. Con gli adoranti che affollano le primissime file, comprendendoci traditori in nuce, semi-adoranti dalla quarta in giù, adorantissimi ma di nessun peso dalla quinta. Si partirà con la Leopolda lingottata del 10-12 marzo a Torino, in cui l’ex segretario farà partire la sua campagna elettorale, dove si racconterà del “nuovo” Pd, poi dopo qualche attimo di opportuna meditazione, si andrà a congresso vero e proprio, il luogo eletto ormai della Non-contendibilità. Lì, il nostro cacciatore di farfalle cercherà disperatamente uno straccio di avversario, un competitor all’altezza e già si muovono i renzianissimi per spingere il povero Orlando a diventare la sua foglia di fico. Almeno che si possa dire: “Scendono in campo le due squadre…”e non “Scende in campo una sola squadra, l’altra è rimasta misteriosamente negli spogliatoi…”. Alla fine di questo doppio percorso congressuale di relativa democrazia, la medesima spirerà definitivamente tra le braccia dei militanti il 7 maggio, data prevista per eccitantissime primarie, a cui parteciperà ovviamente un solo candidato vero. Non primarie, dunque, ma semplice certificazione. Come già avvenne per Prodi ai tempi dell’Ulivo.

Questo cammino porterà il Partito Democratico nelle secche, a meno di non modificarlo per tempo. Ma come? Il problema, che a persone appena ragionevoli appare luminoso, è un sentimento molto praticato nei corridoi del potere, ma persino nelle nostre vite correnti, appena si assuma un briciolo di autorevolezza: l’Adulazione. Il Partito Democratico, depurato delle ultime scorie in dissenso, attualmente vive nell’adulazione. L’adulazione mangia progressivamente particelle di freschezza politica, toglie modernità a qualsiasi confronto, rende nebulosa e sospettosa ogni azione, è capace di creare un «Rollerball» impazzito in cui i partecipanti cercano di accreditarsi verso il Capo con contorcimenti sempre meno dignitosi, che alla fine rendono la situazione tossica. Manca l’aria agli stessi adulatori. Che prima o poi si scanneranno tra loro.

Ecco perché serve come l’aria il dissenso. Proprio per tenere sotto controllo il grado di adulazione, per tamponare una deriva ruffiana, per farsi dire dei no costruttivi, alti e motivati, per non credersi indispensabili, per non crederci. Perché il confronto sia sulle cose, e non sulle amicizie. Ora se ne vanno i rompicoglioni ad personam, ok. Ma chi entra, chi entrerà, a quali requisiti dovrà rispondere? Lo stesso Del Rio ne ha tracciato i contorni: gente che oggi è felice perché si liberano posti, scranni, vitalizi o come è più giusto chiamarle pensioni. Questi non sono neppure adulatori, caro il buon Renzi. Questi sono dei coglioni di cui è opportuno disfarsi prima che la barca affondi.

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