Partiti e politici
Da An al “fascismo di Renzi”: Tommaso Cerno, una storia italiana
di Michele Fusco e Massimiliano Gallo
Tommaso Cerno da Udine. Classe 1975. Fino a ieri condirettore di Repubblica, da oggi candidato al Senato per il Pd. Ha abbandonato la nave dopo appena tre mesi di navigazione. La sua è una biografia da gustare per comprendere come in Italia sia possibile addolcire le tortuose strade che conducono all’ascesa sociale. Basta saper cogliere le occasioni e ignorare il concetto di coerenza. Famiglia borghese, sorella poetessa, il percorso di Tommaso Cerno comincia in politica. Corre l’anno 1995 e il nostro, a soli vent’anni, salpa da tutt’altre sponde. La sua fino a ieri prima e unica candidatura avviene con Alleanza Nazionale (avete letto bene, An) alle comunali di Udine, in sostegno di Silvana Olivotto. A reclutarlo per la nuova destra post-Fiuggi è Daniele Franz ex presidente del Fronte della Gioventù e per due volte deputato del fu partito di Gianfranco Fini. Raccoglie una manciata di voti e forse si rende conto che non ha scelto la platea più ricettiva per le sue battaglie in difesa dei diritti dell’universo Lgbt (che non si chiamava ancora così, Storace la faceva più diretta).
Cerno abbandona rapidamente la destra. Già tre anni dopo, nel 1998, è nell’entourage – qualcuno lo definisce portaborse – del futuro sindaco del Pds a Udine Andrea Montich. Da An al Pds, ma non finisce qui. Lavora con l’ex sottosegretario dell’Udeur Mauro Fabris, prima della sua folgorante carriera giornalistica. Direttore del Messaggero Veneto prima, de L’Espresso poi e infine condirettore di Repubblica. Appena tre mesi fa. Nomina fortemente caldeggiata dall’amministratrice delegata Monica Mondardini che, per dirla con le parole di “C’era una volta in America”, avrebbe scommesso tutto su Tommaso.
L’incontro con l’azienda
In azienda, a Repubblica, sono rimasti di sasso. Soprattutto la Mondardini è parsa in preda a una crisi nervosa per quel che “ha sentito” come un vero proprio tradimento. Era stata lei, infatti, a indicare Cerno come supporto strategico alla direzione Calabresi (qualcuno lo ha definito commissariamento), un uomo di macchina e di spessore che potesse aggiungere valore al giornale in un momento difficile. Un investimento, peraltro, non semplicemente professionale ma anche umano, pare che i due mantenessero un rapporto molto solido anche al di fuori del lavoro, fatto di attenzioni, dialogo, consuetudine amicale, lunghe passeggiate. Del resto, quella di Cerno è una storia esemplificativa anche dei criteri di scelta del management italiano, criteri che obbediscono unicamente all’ossequiosità nei loro confronti.
Quando Cerno comunica a Mondardini e a Marco De Benedetti la sua volontà di lasciare il giornale per uno scranno parlamentare i due si guardano attoniti. Il condirettore si vende il tutto come una grande chiamata del Paese, “me lo chiede Matteo”. Il quale Matteo, che poi ovviamente sarebbe Renzi, secondo Cerno, va anche molto oltre immaginando per il nostro eroe addirittura un futuro da segretario del partito. I due sono sempre più attoniti. Gli chiedono di pensarci, anzi, di ripensarci. Cerno, con in tasca la candidatura, rilancia e si tuffa nell’anello di fuoco, rimanendone scottato: «Allora datemi tempi certi per la direzione di Repubblica». De Benedetti non abbocca: «Il direttore c’è e non abbiamo intenzione di cambiarlo, non è un discorso che abbia la minima attualità». A quel punto, la partita è chiusa, ma Cerno gioca la sua ultima carta: la direzione dell’altro quotidiano nazionale controllato dal gruppo, La Stampa. De Benedetti e Mondardini deglutiscono e contano i secondi che li separano dalla fine di quell’incontro. A quel punto Cerno è ufficialmente un candidato renzianissimo del Partito Democratico.
Il Natale a casa Boschi
Ma la questione di un gruppo inquieto com’è Repubblica non si ferma certo ai piani alti dell’azienda. Investe, e molto, anche la redazione che vive un malessere da giorni, dal momento in cui il vecchio De Benedetti ha deciso di mandare all’aria i già precari equilibri con quelle parole di fuoco su Scalfari e il coraggio di un giornale che secondo l’Ingegnere manca. Particolare: nel momento della battaglia, quando Rep pubblica l’editoriale in prima contro Carlo De Benedetti e la successiva intervista a Scalfari, Cerno è a casa dell’Ingegnere. Sono – è perfino superfluo ricordarlo – i giorni caldi che vedono De Benedetti al centro delle polemiche per i suoi rapporti privilegiati con Renzi. I giornalisti oggi si chiedono: ma in questi tre mesi di permanenza a Repubblica, allora, Cerno si è costruito parallelamente la candidatura? Rivedono il film di questi novanta giorni insieme, da cui emerge che il condirettore era sempre molto attento a tutto quello che veniva pubblicato su Renzi e il Pd. In maniera maniacale. In alcune occasioni, raccontano, sollecitava l’attenzione su iniziative renziane di cui nessuno era a conoscenza e che nessuna agenzia aveva ancora rilanciato, alimentando il sospetto che fossero anticipazioni in purezza che arrivano direttamente dal Nazareno. In più, ciliegina sulla torta, si narrava del suo Natale passato ad Arezzo, a casa Boschi, a consolare la povera Maria Elena ingiustamente attaccata dal mondo intero. Rivisto il film oggi, dall’ultima scena ritornando alla prima, nelle redazioni si alimenta un sentimento di rabbia.
Il libro sul mussolinismo di Renzi
Per ora, sorride Matteo Renzi. Per cosa poi, non è dato sapere. Poco più di due anni fa, Cerno dava alle stampe “A noi!” sul fascismo come tratto distintivo della politica italiana anche attuale. Ripercorre la politica e la comunicazione di alcuni esponenti della vita pubblica italiana, da Craxi a Berlusconi, passando per Grillo, Salvini e proprio Renzi, e sottolinea gli aspetti del mussolinismo che contraddistingue il loro agire. Ce n’è anche per il Matteo che oggi lo candida capolista in Senato, pare a Udine e, per essere sicuri, magari anche a Milano: “È in questo mondo – la Seconda Repubblica creata da Berlusconi – che è nato e cresciuto politicamente Matteo Renzi. L’ex sindaco di Firenze che a differenza di Berlusconi non ha dovuto inventarsi dal nulla un movimento, ma che all’interno della mediocrità generale della politica italiana ha saputo sfruttare le debolezze e le correnti del Pd per arrivare sino a Palazzo Chigi. Senza nemmeno sentire il dovere di passare attraverso una consultazione popolare diretta – Berlusconi le elezioni le ha vinte, più volte -, ma semplicemente utilizzando l’assemblea del Pd per scalzare Enrico Letta e imprimere alla sua ascesa un’accelerazione decisiva e impressionante”.
Il capitolo a lui dedicato andrebbe pubblicato integralmente. Ci limitiamo al periodo finale che è da leggere in tono ironico: “Bisogna credergli, perché lui è il nuovo taumaturgo del Belpaese. Non può sbagliare, gli italiani sono al suo fianco e lui è sereno, talmente sereno da potersi permettere di giocare alla Playstation mentre attende l’esito delle regionali 2015. Per chi non sta al suo passo, il futuro è uno solo: l’oblio”. E qui Cerno dimostra di aver capito tutto con due anni e mezzo d’anticipo. E lui nell’oblio proprio non vuole finirci.
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