Partiti e politici
Parole fumose, cultura per pochi. Il vero problema del discorso di Giuli
C’è un filo rosso che collega il neoministro Giuli al precedente. E non è soltanto l’orientamento ideologico e i grandi personaggi della storia italiana agitati come santini di un’unica millenaria famiglia identitaria: Sangiuliano fece scalpore con l’idea di Dante padre della destra, mentre Giuli nel suo discorso si appropria di Olivetti. L’elemento comune è anche, e forse soprattutto, una cifra stilistica che appartiene a una tradizione, questa sì arcitaliana: il grottesco di un personaggio che, risentito da decenni di vera o presunta esclusione dai club che contano, una volta al potere vuole prendersi una rivincita cercando di accreditarsi in maniera maldestra.
Sul discorso di Giuli non è il caso di soffermarsi per la citazione imprecisa di Hegel. Bisogna, piuttosto, considerare il tono dell’introduzione di un discorso che aveva la giusta ambizione di essere programmatico ma di cui si ricorderà solo la sensazione di essere lunare. La questione del tono non è banale perché rivela il modo in cui chi parla si rivolge al pubblico. Gianfranco Pellegrino ha già giustamente evidenziato che il discorso di Giuli è un pessimo esempio: usare espressioni difficili per impressionare il pubblico tradisce un’idea sbagliata di cultura e di dibattito pubblico. Il dovere di chi ha un ruolo istituzionale è di rendere comprensibile a tutti il nocciolo del discorso. Ammantare tutto di frasi fumose restituisce un’idea aulica e non-democratica di cultura e, anche, un atteggiamento deferente nei confronti di idee che tutti dovrebbero padroneggiare. Un tono saccente esprime disprezzo e paternalismo verso il pubblico, un tono semplicistico comporta un abbassamento populista del dibattito. Un tono fumoso e aulico, come quello del discorso di Giuli, esprime un atteggiamento duplice: da un lato, l’insicurezza di chi vuole accreditarsi come autorevole esagerando la portata linguistica di ciò che dice, dall’altro, la presunzione furbesca di poter non essere contraddetto dopo aver squadernato cotanta complicatezza.
È quindi il caso di vedere quale sia il contenuto della premessa di Giuli, spogliato degli orpelli inutili. Nella premessa, citando implicitamente Hegel, sostiene che il compito della conoscenza è la comprensione della tendenza profonda della propria epoca. Attualmente l’elemento determinante è l’evoluzione della tecnologia dell’informazione verso la quale, dice Giuli, bisogna evitare di essere tanto ciecamente ottimisti, quanto catastrofisti. Punto. In questi termini la posizione di Giuli è, nella sua assoluta genericità, piuttosto condivisibile. Talmente condivisibile da sembrare un temino: tra i due opposti cerchiamo una via mediana, lo dice il buon senso. Ma l’ovvietà nasconde forse la poca chiarezza della domanda. Assumendo la necessità pratica di vivere con e attraverso le tecnologie dell’informazione, si potrebbe chiedere al ministro come intende declinare questa via mediana tra tecno-ottimismo e “apocalittismo” (espressione di Giuli).
Su questi aspetti il governo Meloni ha cercato di mettere qualche bandiera simbolica: un ministro dell’agricoltura che vieta preventivamente la carne sintetica; un ministro dell’istruzione che emette una circolare per limitare l’uso dei cellulari in classe. Al di là delle opinioni su queste decisioni specifiche (per il sottoscritto, demenziale la prima, più condivisibile la seconda), il posizionamento rispetto alla tecnologia è la vera questione attuale e dei prossimi decenni. Quale sarebbe l’uso corretto delle tecnologie attuali e future nel mondo della cultura? Dietro una ripetizione ossessiva del primato italiano dei siti Unesco e il riferimento al millenario genio italico che è stato all’avanguardia nell’informatica (sempre Olivetti) pur non dimenticando le relazioni comunitarie, non si capisce cosa intenda il ministro. Ma qualsiasi cosa abbia in mente dovrebbe esprimerla in termini più chiari, in modo da favorire il dibattito pubblico. Il rischio visibile è che, mentre Giuli parla in maniera oscura di una cosa che tutti potrebbero capire, le decisioni che contano sono prese in altri paesi con una nostra connivenza interessata (vedi il flirt Meloni-Musk). In ogni caso il ministro della cultura ha ancora una volta perso l’occasione di svolgere il suo ruolo.
Devi fare login per commentare
Accedi