Partiti e politici
Cucù, la crisi non c’è più (la Tav sì, il rimpasto forse, l’autonomia con calma)
Con un solo colpo di pennello il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha ridisegnato diverse pareti della casa di governo. Annunciando infatti il sì alla Tav – naturalmente vestito della necessità indefettibile di fare la scelta meno costosa per gli italiani, stando alla larga dalla verità che sostanzia quel sì: vale a dire una decisione tutta politica – ha infatti generato, consapevolmente, una serie di effetti politici e governativi di qualche rilevanza.
Il primo. Se Danilo Toninelli, titolare delle infrastrutture e dei trasporti, ha una qualche dignità politica deve rassegnare le sue dimissione stasera. Al più tardi domattina. Tanto più che il clamoroso sì di Conte arriva appena dopo la revoca, da parte del ministro, dell’unico commissario favorevole all’opera tra i membri della commissione presieduta dal Professor Marco Ponti. Se invece Toninelli volesse insistere e resistere, la sua ora, politicamente parlando, potrebbe arrivare comunque presto, e così la poltrona che fu di Toninelli diventerebbe il perno per un rimpasto di governo. Una nuova compagine di governo, con la stessa alleanza, equilibri un po’ spostati e la guida ormai ineludibile di Giuseppe Conte. Sarebbe sicuramente un tagliando sulla vita della legislatura, mille volte data per morta e ancora considerata moribonda da tanti. Noi, come il famoso Santo, sinché non vediamo, continuiamo a non credere.
Tanto più oggi, che con il colpo d’ala della Tav Conte si toglie almeno per un po’ dal pressing salviniano – nel silenzio impotente dei 5 stelle – e concede ciò che Salvini invocava sulle spiagge e alle sagre del nord, tra salamelle fumiganti e tirate contro “la zecca tedesca”: l’agognata Tav. “Restiamo al governo si fanno le cose, se si fa la flat tax, l’autonomia e la Tav”. Una è andata, ed è una che pesa.
Gli altri dossier naturalmente rimangono aperti, e non è scontato portarli a casa. Ma a questo punto, c’è spazio per essere più flessibili anche in casa leghista. Con lo spread ormai assestato attorno a 200 punti un po’ di spazio in più c’è, ma di sicuro non abbastanza per fare tutta “la rivoluzione fiscale” subito. Salvini potrà accontentarsi “dell’inizio di un percorso”, e poter rivendicare almeno qualcosa di quanto promesso al “suo” ceto medio, del Nord e non solo. Già, non solo. Perché proprio l’aspirazione (concreta, e al momento realistica) a diventare un partito nazionale sconsiglia la Lega del capitano di seguire sulle barricate i governatori della vecchia Lega Nord Fontana e Zaia sul campo dell’autonomia. La coperta è corta, fin dai tempi di Bossi, e per una Tav incassata – a dispetto di quel che c’era scritto nel contratto di governo, peraltro – si potrà lavorare per un’autonomia diluita, o almeno dilazionata. Non tutta, non subito.
A queste condizioni, intanto, il governo può andare avanti. Con Conte e Salvini a dividersi la leadership di domani fin da oggi, coscienti di essere gli unici due leader in campo (nel governo di sicuro, ma per ora non solo), e con Salvini che può dire ai suoi che – appunto, nonostante tutto – le “cose si fanno”. Rimanendo così al Viminale: che in tempi di Russiagate, è sempre meglio che stare in mezzo alla strada a godersi una pur esaltante campagna elettorale.
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