Partiti e politici

Creatività elettorale

21 Maggio 2016

E’ un duro lavoro – il creativo – ma qualcuno lo deve pur fare. Inventarsi, dal nulla, lo slogan efficace. La battuta vincente. La frase che rimane scolpita nella memoria, quella che fa la differenza. In una pubblicità o in una raccolta fondi. Nel lancio di un film o di un libro. O, peggio ancora, in una campagna elettorale. Ché lì il duro lavoro diventa un mestieraccio. Davvero.

E davvero poco invidiabile: l’intuizione giusta e si vola sull’Olimpo, quella sbagliata e addio gloria. Se non lo scherno. Già, perché fuori da ‘House of cards’, in cui il copione è impeccabile e lo ‘storytelling’ – come si usa dire ora – senza la minima sbavatura, la realtà è un po’ diversa. Basta guardare una qualsiasi strada italiana in tempo di elezioni comunali. Volgere lo sguardo ai manifesti elettorali che, più o meno timidamente, fanno bella mostra di sé.

Dalle mie parti, a Rimini, dove a darsi battaglia saranno 8 candidati sindaco e 18 liste, tra le diverse locandine, spicca – ormai da qualche giorno – quella del partito al governo in cui compaiono stilizzati alcuni ambiti in cui l’Amministrazione ha operato – chessò la sagoma di un teatro per i lavori effettuati al ‘Galli’ in via di ricostruzione o una bicicletta per le piste ciclabili aperte – accompagnati dalla parola ‘fatto’. Messaggio diretto, senza dubbio. Forse pure efficace. Nuovo, non troppo.

Quel ‘fatto’ – invero senza tanto successo – comparve, qualche decennio fa, in televisione per accompagnare i provvedimenti dell’allora primo governo Berlusconi. Una voce fuori campo a raccontare quanto compiuto dall’Esecutivo e poi, a mo’ di timbro notarile, la stampigliatura in rosso ‘fatto’ a marchiare un angolo dello schermo. Non durò tanto. Ma, a quanto pare, deve essere rimasto impresso al creativo di Romagna che ha deciso di donargli nuova vita alla vigilia della prossima tornata elettorale.

Il fare, senza tema di smentita, è meglio del dis-fare o del non-fare, però – a muoversi qua è là per la Rete – il manifesto è già divenuto oggetto di sarcastiche variazioni: c’è chi ha sostituito le icone stilizzate con parole come ‘abusivismo’ o ‘insicurezza’ seguite dall’immancabile ‘fatto’. Chi semplicemente ironizza. Chi lega il ‘fatto’ a ‘rimining’, dileggiando quel neo-verbo anglo-romagnolo – coniato dall’Amministrazione comunale per racchiudere tutta la città in una emozione  – brandito per sottolineare ciò che non va. Solitamente a corredo degli articoli di ‘nera’ dei quotidiani locali. Il grande rischio della creatività elettorale.

Che, a volte, paga pegno anche quando funziona. Perché gli slogan da campagna elettorale, spesso, hanno un che di beffardo. Svolgono il loro compito magnificamente per uno, malissimo per qualcun altro. Obama si inventa ‘Yes, We Can’, vince, diventa il primo presidente americano nero, quasi un’icona pop. Veltroni lancia il ‘se po fa’, ad alcuni ricorda Nando Mericoni di ‘Un americano a Roma’. Vince l’ex Cavaliere. Matteo Renzi, un tweet dietro l’altro, conia l’Italia ‘cambia verso’: segretario Pd, presidente del Consiglio, oltre il 40% alle ultime Europee. Un paio di anni fa, sulla scia il candidato sindaco del Pd riccionese, partito al governo da una settantina d’anni regala un bel ‘Riccione cambia vento’ invitando i suoi concittadini a mutare prospettiva. Lo hanno preso in parola: vince la sua sfidante e i giornali parlano di svolta epocale. No, gli slogan non funzionano per tutti allo stesso modo.

(Immagine di copertina tratta dal sito it.wikipedia.org)

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