Partiti e politici
Cos’hanno in comune Mimmo Lucano e Rocco Casalino
Quasi trent’anni fa un politologo americano, Francis Fukuyama, pronosticò in un libro scritto dopo la caduta del Muro di Berlino nientemeno che la Fine della Storia.
Scomparso il Comunismo, ragionava l’autore di una delle più grandi topiche della politologia contemporanea, saremmo entrati in un’era di “consenso liberale” depurata delle ideologie e finanche degli stessi conflitti. Si trattava di gestire la crescita senza tante menate.
Fine della Storia voleva dire fine della Politica, almeno nella sua versione novecentesca di crogiolo di passioni viscerali e di conflitti atroci, alimentati da masse enormi di persone partecipi, sovreccitate, manovrate e da idee a cui si attribuivano poteri quasi magici.
Il libro di Fukuyama uscì già smentito dai fatti nel pieno della dissoluzione sanguinosa della Jugoslavia per una nuova via che la Storia (e la Politica) avevano trovato per manifestarsi, l’identità etnica e religiosa e negli anni fu smentito così radicalmente da corroborare il sospetto che portasse sfiga.
Ciononostante, l’idea della fine della Storia e della progressiva depoliticizzazione del policymaking ha guadagnato nel tempo consenso ed estimatori, al punto che il consenso liberale è divenuto lo standard della politica in gran parte dell’Occidente, a partire dall’Europa.
L’intera architettura dell’Unione Europea a partire dagli anni ’90 è stata pesantemente segnata dall’ideologia della Fine della Storia e del consenso liberale. Alla Politica, come attribuzione di valori e priorità ad una comunità, si è sostituita la Tecnica dell’amministrazione della cosa pubblica.
La banda di oscillazione delle opzioni politiche si era drammaticamente ridotta, la fantasia azzerata. Con l’eccezione degli anti-sistema, le forze politiche europee stavano quasi tutte all’interno di un range di opzioni definito: un contenimento delle dimensioni dello Stato e della sfera pubblica nell’economia senza eccessi friedmaniani, una progressiva flessibilizzazione del lavoro, un atteggiamento positivo nei confronti dell’innovazione tecnologica, un’accettazione del mercato come punto di riferimento dell’economia, un progressivo multiculturalismo e un’altrettanto progressiva apertura delle società ai diritti civili. Potevano alzare i toni in campagna elettorale e forzare la mano su un singolo aspetto, oltre che essere più o meno litigiosi e orientati al risultato ma di fatto per decenni la sensazione è stata quella di pochissima differenza e molto più di forma che di sostanza.
Nell’epoca del consenso liberale la società procedeva su un piano inclinato verso una più o meno veloce adesione al modello che sembrava unico e ineluttabile.
La politica era una copertura retorica al ruolo della techne, dei dirigenti ministeriali di Roma, degli eurocrati di Bruxelles, dei broker di Londra, che avevano assunto forme sublimate (l’Europa, i Mercati) di divinità superiori, a cui rivolgersi come ultima istanza, Cassazione inappellabile.
La politica resisteva come guscio vuoto, annoiato berciare su questioni di forma più che di sostanza (la stagione dell’antiberlusconismo) o contrattazione su temi individuali (le nozze gay).
Il canto del cigno di questa stagione è stata l’elezione di Macron, il quale ha dapprima frullato e ingerito i resti dell’establishment politico francese di centro destra e di centro sinistra e poi ha vinto trionfalmente una campagna elettorale tutta techne, buon senso e competenza contro il Caos, salvo oggi essere l’ennesimo presidente francese sopportato a due anni dall’elezione.
Macron e la Commissione europea sembrano oggi anche gli osservatori più benevoli i custodi di un’ordine in fase di dissoluzione, circondato dall’impetuoso e maleducato ritorno sulla scena della Politica, ossia della saldatura tra un diffuso malcontento nell’elettorato e delle figure di impresari del malcontento che semplicemente non accettano più il consenso liberale e per questo ottengo enormi consensi a spese del vecchio mainstream.
Tutto è certamente partito da quella colossale riprogrammazione del nostro DNA che è stata la Crisi economica, ma pesca molto più in fondo, in particolare nella paura del contemporaneo e del futuro che è il tratto saliente di quest’epoca dolente. Il contratto sociale del consenso liberale, progresso in cambio di tranquillità, è stato disdettato dai clienti perché non ha prodotto i rendimenti promessi e anzi ha cominciato a dare rendimenti negativi.
Disabituati a spiegare le loro ragioni, i custodi dell’ordine morente hanno scompostamente bacchettato i populisti e il loro elettorato, aizzato i cani dello spread, minacciato sfracelli, ma non si sono posti mai il problema di dover rilegittimare il loro ruolo e la loro ragion d’essere.
Se penso, da convinto sostenitore dell’Unione Europea, che l’argomento più forte a favore dell’europeismo è ormai pericolosamente simile a quello utilizzato per difendere le zanzare (chissà cosa succede senza) sembra evidente che l’ordine liberale e impolitico, disabituato ad essere messo in discussione, non sappia reagire altrimenti che come monarca offeso.
Da Trump alla Brexit, da Orban a Podemos, da Renzi a Gigi e Pinotto è tutto un fiorire di messe in discussione dell’ordine stabilito, dei parametri di bilancio, dei mercati, del quieto ripiegare dello Stato dall’Economia, del multietnico, della progressiva dilatazione dei diritti civili.
Siamo in una nuova Era della Iper Storia, dove nessun valore è veramente intoccabile. La Storia è piena di questi tempi interessanti, alcuni forieri di grande progresso, altri forieri di grandi catastrofi.
Si parva licet componere magis, le ultime vicende della cronaca politica italiana suffragano pienamente questo ritorno alla Storia e dunque alla Politica, che non necessariamente deve assumere la figura di Statista di un De Gasperi o di un Churchill, ma può assumere i tratti da commedia di Scarpetta di un Giggino Di Maio. Depurata dai legittimi sospetti sulla sua reale entità e applicazione finale, la Finanziaria del Popolo rappresenta uno statement molto chiaro: lo Stato deve redistribuire reddito ai cittadini tagliati fuori dal consenso liberale e per questo non solo non deve dimagrire, ma deve crescere. Di più, quando i robot della Casaleggio bulleggiano sulle concessioni alla società Autostrade, lo fanno perché sanno che quell’ordine liberale fatto di cautela, verifica, gare d’appalto europee può e deve oggi essere scardinato dalla Politica, ossia da chi è stato eletto per fare una cosa e la fa (o almeno la comunica).
In questo il nefando Rocco Casalino che minaccia di sbudellare i tecnici del MEF (esattamente come tutti i suoi predecessori sotto Finanziaria, solo con un differente senso della privacy) e il nuovo santino prog Mimmo Lucano che va in carcere (vergogna) per aver forzato una legge sbagliata sono meno lontani di quanto sembri: ambedue testimoniano il ritorno della Politica contro i nonsipuotisti della techne.
Criticare la finanziaria del popolo con il divino alzato dello spread e dei mercati va benissimo se si parla all’interno della bolla degli orfani del consenso liberale (trai quali beninteso mi iscrivo, con la parziale eccezione di una passionaccia estetica per la Politica), ma non funziona con chi non riconosce più a quel babau nessun potere di fare paura, come i bambini cresciuti.
Personalmente, per quanto vale, trovo la Finanziaria del Popolo orribile non perché prevede spesa in deficit, ma perché la indirizza male. Se ci si fosse indebitati per mettere l’alta velocità e la banda larga ovunque, per migliorare le scuole, tagliare il red tappe e le tasse non avrei avuto problemi, così mi sembra un’impostazione assai regressiva. Le Finanziarie di Renzi (l’unico ad ora ad aver capito da sinistra che tornava la Politica) e di Gentiloni mi piacevano di più, ma gli elettori li hanno mandati a casa perché volevano tutto e lo volevano ora. Ci sta d’altronde, perché questa è la politica, una volta sei martello e una volta incudine.
Mentre pensate “che idioti” ricordatevi che è lo stesso “tutto ed ora” che ha animato l’avvento per via democratica di regimi orrendi e grandi rivoluzioni, Mussolini ma anche Nelson Mandela. È la Politica e l’amiamo per questo.
Se legittimamente la Finanziaria del Popolo e i suoi estensori vi urtano, abbassate il divino e tornate a fare Politica, a immaginare cose nuove e diverse, fregandosene degli equilibri (i veri nemici dei democratici) e convincendo le persone, sempre più persone, che le cose nuove funzionano. Ci vorrà del tempo, ma vi addio sarà almeno più divertente che difendere Junker e Moscovici, che a difendere voi non ci pensano proprio.
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