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Cosa sentono gli italiani: le tante incognite della ripartenza
A due mesi dall’inizio della quarantena il Paese si affaccia a una nuova fase all’insegna dell’incertezza, passando senza soluzione di continuità dall’emergenza sanitaria a quella economica.
Gli italiani sono passati dallo shock della chiusura, alla preoccupazione, alla tensione su una ripresa con il freno a mano,senza binari e, almeno nella percezione comune, senza reti. Tuttavia, è importante innanzi tutto cogliere i segnali di resilienzanonostante la crisi economica e sociale in atto.
Se la curva epidemiologica richiede tempi lunghi per discendere, la pubblica opinione ha condiviso le misure del distanziamento sociale stabilizzandosi rapidamente. Una costanza, autodisciplina e pazienza confermate da tutti gli indicatori con cui abbiamo monitorato il numero di uscite e le abitudini di comportamento in casa. Si è allentata, ma non sopita, la morsa della paura, legittimando delle prime caute aspirazioni di ripresa.
Il 4 maggio rappresenta una prima uscita limitata sul piano pratico ma simbolicamente molto pregnante e densa di conseguenze. Non solo uscita ‘dalle case’ ma anche dagli ‘schermi’ e dall’orizzonte privato con un rientro in scena del corpo e del bene pubblico, fatto di condivisioni e spostamenti.
Si colgono le tracce di un’energia liberata e a disposizione di nuovi progetti, combinata con la disponibilità al cambiamento dello stile di vita nei principali ambiti dell’esistenza, dal lavoro alla scuola, ai consumi e al tempo libero. Non si tratta quindi di un impulso accecato dalla lunga attesa, ma di un atteggiamento ragionato e ponderato. La maggioranza degli italiani si mostra conscia delle difficoltà e dei pericoli persistenti e intenzionata, almeno sulla carta, a mantenere comportamenti prudenti, nella ricerca di conciliare il bisogno di ritorno all’attività con quello di tutela della salute.
Quello della ripartenza d’altra parte, non è un sentimento spensierato, di festeggiamento delle libertà ritrovate. La quarantena aveva anche garantito la sospensione di tante occupazioni e preoccupazioni immediate che si riaffacciano in questi giorni. Le fantasie riparatorie coltivate a casa, in un contesto tutto sommato più ‘semplice’, dovranno cercare realizzazione in una realtà fuori, che ha assunto tratti foschi e si preannuncia ad alto tasso di complessità.
La speranza è quella di trovare, in tempo reale, nuove forme vitali, creative e produttive in cui imbrigliare la voglia di ripartenza. La prima sfida sarà affrontata sul piano della collaborazione e del coordinamento con gli altri e, in definitiva, della gestione delle relazioni. Il tessuto connettivo del momento è costituito da un rinnovato senso di appartenenza che tuttavia si combina con l’abbassamento della socialità. Banalmente, vediamo e anche sentiamo meno persone. Tale riduzione in qualità e estensione delle reti sociali (nonostante il digitale) rischia di impoverire la principale forza rigeneratrice delle ferite inferte dalla crisi sanitaria ed economica, il capitale sociale. A partire dal nostro stesso vissuto di diffidenza e di pericolo associato alle relazioni e agli incontri.
Il dibattito e le polemiche suscitate, direttamente o indirettamente, dal termine ‘congiunti’ presuppongono proprio questa preoccupazione. Sarà da capire come si realizzerà il diradamento, la rarefazione, la diminuzione di concentrazione di persone in uno stesso luogo e quindi, inevitabilmente, di opportunità di incontro. Come sapremo gestire l’inevitabile ‘raffreddamento’ generatodall’isolamento.
Il distanziamento sociale si combinerà con un distanziamento geografico anche simboleggiato dalle prossime vacanze, una scadenza ben presente nei sogni degli italiani, tutte ancora proiettate vicino a casa.
E’ normale dunque che a una scadenza per ora così contenuta corrispondano sentimenti contrastanti e bisogni di protezione con un elevarsi delle aspettative nei confronti dello stato e delle istituzioni, che continuano a costituire un punto di riferimento fondamentale ma insufficiente a colmare il vissuto di incertezza. Si continua a rilevare il disagio nell’ambito della comunicazione, a cui si dedica tantissimo tempo, con il risultato complessivo di una maggiore confusione.
Un disagio rivolto non tanto e non solo ai media e social media,ma, in generale, a tutto il composito e frammentato arco istituzionale deputato a informare i cittadini. Si torna a segnalare il debolissimo riconoscimento del ruolo dell’Unione Europea e allo stesso tempo la disomogeneità nella percezione del governo delle regioni, in cui spicca un ‘modello nord est’ tutto ancora da studiare.
In un quadro denso di incognite, pesa soprattutto la situazione di impoverimento e di difficoltà economica con cui la società italianaaffronta l’obiettivo della ripartenza. Gli italiani hanno dovuto ricorrere ai loro risparmi per far fronte all’emergenza, non senza aprire fronti di marginalità già in piena sofferenza. Oggi si pone quanto più urgente l’aspettativa di messa a terra e attuazione delle tante misure annunciate per il sostegno di persone e imprese.
Ancora una volta l’arretratezza di un popolo familista, come si diceva un tempo, e risparmiatore ha garantito la tenuta sociale del presente. Questo risultato è andato immediatamente a infrangersi con la sofferenza di ampi strati della popolazione, non tutti dotati di strumenti di rivendicazione, ma con un potenziale di destabilizzazione della collettività. L’assenza di tutela di bambini, donne, precari, migranti e abitanti di aree depresse e senza opportunità, riporta l’attenzione alla fragilità in un momento in cui tutti sentiamo di esserlo. Proprio questa comunanza della sofferenza e della preoccupazione ha esiti incerti e può alimentare ulteriori fratture e separazioni, molto più profonde del distanziamento.
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