Partiti e politici

Cosa ci hanno insegnato le comunali di domenica

27 Giugno 2017

Tanti discorsi, tante analisi, tutte un po’ di parte, dopo le recenti amministrative. I sinistri attaccano il Pd renziano; i piddini la litigiosità della sinistra radicale; i 5 stelle dichiarano una parziale vittoria, ed un trionfo quando sono andati al ballottaggio; Berlusconi sottolinea la presenza decisiva di Forza Italia; Salvini l’irresistibile avanzata della Lega (non più Nord) verso la conquista del meridione, novello Garibaldi; Meloni l’apporto essenziale del suo partito nel sud del paese. Come sempre: vincono tutti, a cominciare da Renzi, basta fare i confronti “giusti”, quelli migliori per la propria parte politica.

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Mi piace qui fare un’analisi (oggi e domani) che prenda l’abbrivio dai ragionamenti degli elettori, stando dalla loro parte, invece che da quella dei partiti o dei commentatori interessati. E iniziamo dal fatto più rilevante, che soltanto in pochi hanno sottolineato, presi da discorsi di alta politica: come forse qualcuno ha notato, si è votato per eleggere il sindaco e per il rinnovo delle amministrazioni comunali.

Questo i cittadini chiamati alle urne lo sapevano, ce l’avevano ben chiaro in testa. Sapevano che in ballo non c’erano i destini dell’Italia, o il futuro del Pd, o le geometrie politiche, oppure ancora la conferma dei 5 stelle, ma solamente il proprio sindaco per i prossimi cinque anni. Dubito che in molti abbiano votato un candidato che non gli andava solo per fare uno sgarbo ad un qualche partito, o per mandare segnali a Pisapia, D’Alema, Renzi, Salvini, Grillo, eccetera eccetera; in fondo quel sindaco se lo dovranno tenere per tanto tempo, e mi immagino che abbiano scelto quello che gli stava più simpatico, o quello che era il rappresentante di un partito o di una coalizione credibile per il miglior governo di quel comune.

Il voto era per il sindaco, dunque, o per l’amministrazione comunale uscente. Da questo punto di vista, il risultato più sorprendente di domenica, di cui quasi nessuno è sembrato accorgersi, è che dei 24 capoluoghi al voto (esclusa Trapani) ben 15 hanno cambiato casacca: in quasi il 65% non è stato quindi riconfermato il colore della giunta precedente. Da sinistra a destra, per la maggior parte dei casi, giusto perché gli uscenti erano più di sinistra, ma anche da destra a sinistra (nella metà dei casi). Più che una ventata di centro-destra, è parsa in verità una ventata anti-sindaci, una volontà di cambiare i propri rappresentanti locali, rei probabilmente di marcata inefficienza e di incapacità di risolvere i problemi locali.

A La Spezia, ad esempio, città da sempre vicina alla sinistra, una mia tesista che ha fatto un lavoro approfondito sulle opinioni della cittadinanza mi raccontava di una diffusa insoddisfazione dell’operato del sindaco e dell’amministrazione locale. Magari non è colpa loro, forse stanno venendo meno i necessari trasferimenti dallo stato centrale, resta il fatto che il desiderio di cambiare non era legato al colore della giunta, quanto al tentativo di trovare qualcun altro migliore del precedente.

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Forse questo è il motivo di tanta volatilità elettorale, al centro o in periferia. L’insoddisfazione generalizzata verso il personale politico-amministrativo. Che siano dei 5 stelle (come a Roma) o della sinistra (come a Genova) o della destra (come a Padova), i sindaci non svolgono bene il loro lavoro, secondo l’opinione dei propri cittadini. Sennò perché cambiare? Non certo per masochismo.

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