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Cosa chiedere quando chiedere
«La transizione MiTe impone un diverso approccio, etico e riguardoso della persona e della sua immagine anche negli spazi televisivi dedicati alla politica ed ai suoi approfondimenti».
Questo l’incipit del post di Beppe Grillo pubblicato ieri sul Blog delle Stelle, dove si chiede al sistema dell’informazione televisiva di adottare dei cambiamenti significativi nelle modalità di dialogo e di inquadratura. I due concetti posti alla base dell’iniziativa sono puliti, universali, talmente puri che non possono per loro natura lasciare spazio ad opposizioni di sorta: quando infatti parliamo di etica e di riguardo, parliamo alla pancia dell’umanità intera, che riconosce il valore di tali concetti con eccezioni rarissime, spesso correlate a posizioni di potere sociale o culturale.
Potrebbe stupire quindi la reazione di giornali e giornalisti alla richiesta di impostare le modalità di dibattito e di ripresa in una determinata maniera. Eppure l’impressione è che si stia guardando il dito e non la luna.
Il “dito” cui tutti guardiamo questa mattina è il racconto di un’imposizione percepita come indiretta, essendo definita consciamente con la parola “richiesta“; allo stesso tempo, però, dietro alla richiesta si intravede la sagoma di un ricatto presenziale eseguito in nome di valori ben più alti, valori che, essendo stati scelti per giustificare tale azione, dovrebbero essere trasmessi in percezione per osmosi anche a chi li richiede.
Mentre quindi guardiamo tutti questo dito, nel frattempo si ha l’impressione di scorgere una luna molto più piena e a tratti subdola, con il suo lato oscuro che la fa credere più piccola finché non si rivela nella sua totalità.
Se volessimo infatti andare oltre alla narrazione “Grillo impone cose / L’informazione si indigna”, si apre uno scenario ancor più interessante dove la domanda non è “Cosa chiedo?”, ma “Perché lo chiedo e perché in questo preciso momento?”.
Certamente vi sono opinioni largamente condivisibili sullo svolgimento dei dibattiti televisivi: spesso troppo urlati, spesso costruiti ad arte per tenere incollato il telespettatore, ancora più spesso privi di una dialettica rispettosa dei tempi e degli ospiti stessi, i quali, nell’accapigliarsi e nel sovrapporre le voci, fanno emergere più la nostalgia per i bei tempi andati in cui fare il politico era anche ascoltare rispettosamente l’avversario e scindere la sua ideologia dalla sua persona, piuttosto che generare stima e appoggio per le loro posizioni.
Una bugia ben detta contiene un fondo di verità, e quanto sopra è la verità che potrebbe far parte di una bella bugia: quella dove si richiede solo ora di lasciare esprimere contenuti in maniera ordinata e pulita al proprio schieramento attraverso la costruzione di una “bolla di sicurezza” senza interferenze perché in tutti questi anni, la mancanza di persone e contenuti, è stata messa in secondo piano per far emergere un grande progetto che, paradossalmente, è iniziato con la stessa metodologia a cui ora si chiede di rinunciare: l’urlare in faccia, il disprezzare e lo svalutare in pubbliche piazze piene; un progetto dove non conta il singolo, ma l’ideale: mandare a casa una classe politica ingorda e corrotta inserendo degli elementi immacolati in grado di dare potere al popolo, il quale certamente sa più di ogni altro come si governa un paese.
Ora però quel progetto non esiste più: per la prima volta, alla classe politica ingorda e corrotta cui era facile far fronte comune, si contrappone un governo fatto anche di persone che nulla hanno a che fare con la politica, ma che hanno un rispetto e una competenza riconosciuta internazionalmente, che non ha bisogno di leve propagandistiche e impalcature ben fatte per risultare credibili all’occhio e all’orecchio di chi guarda ed ascolta; i contenuti, ora, vengono ancor prima della persona, e senza che la persona debba dimostrare di esserne all’altezza.
Con il nuovo governo, dove alcuni ministeri sono stati spartiti nella volontà di mantenere la suddivisione elettorale precedente ed altri (tra i più importanti) sono stati messi in mano a figure realmente competenti nel proprio ambito e a livelli di eccellenza riconosciuta, i Cinque Stelle non possono più competere nella guerra all’attenzione dell’elettorato, ancor di più quando l’avversario non ti dà appigli per urlargli contro, parlando solo quando necessario e mantenendo un dignitoso silenzio su azioni e provocazioni.
Per chi possiede un po’ di malizia e di basi di comunicazione può quindi risultare una teoria interessante, quella dell’adottare apparentemente una posizione etica per nascondere in realtà un intento di difesa necessario per la propria credibilità; puntare l’attenzione alla necessità di esporre in maniera chiara i contenuti per nascondere il fatto che i contenuti stessi, senza persone capaci di esprimerli e di argomentare per essi, sono solo parole magari comprensibili e condivisibili, ma incapaci di trasformarsi in fiducia verso qualcuno o verso un partito.
Così, un po’ come quei genitori iperprotettivi verso i figli che generano alla lunga mancanza di autostima e incapacità di affrontare le sfide della vita senza timore, la richiesta di modificare un sistema aggressivo e a volte, forse, volontariamente scorretto come quello dell’intrattenimento giornalistico televisivo per proteggere la propria prole suona più come un “Lo faccio perché so che altrimenti perderebbero”, riventuto, per evitare ferite d’orgoglio, come un “Ma perché non stiamo tutti tranquilli che così vinciamo tutti in totale sicurezza?”.
La risposta da dare, in questo caso, sarebbe semplice: la politica, come la vita, non è fatta per codardi, per chi non è capace di sviluppare le capacità necessarie e difendersi nel giusto modo, di cambiare le cose in positivo col proprio contributo diretto sul campo; non è fatta per chi chiede un mondo ideale costruito sulle proprie esigenze, dando per scontato corrispondano a quelle di tutti. Lasciate si buttino nell’arena, se non uccide, fortifica.
D’altro canto, «in Italia per trecento anni sotto i Borgia ci sono stati guerra, terrore, criminalità, spargimenti di sangue. Ma hanno prodotto Michelangelo, Leonardo, il Rinascimento. In Svizzera vivevano in amore fraterno, hanno avuto cinquecento anni di pace e democrazia. E cosa hanno prodotto? L’orologio a cucù».
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