Partiti e politici

Corbyn wins, again. Prendiamo appunti ?

1 Ottobre 2016

Jeremy Corbyn ha ottenuto la leadership del partito laburista inglese per la seconda volta in dodici mesi. Sfiduciato dalla stragrande maggioranza dei deputati in estate, e sfidato da Owen Smith per la guida del partito, ha vinto con oltre il sessanta per cento dei voti degli iscritti e dei simpatizzanti. La storia della sfiducia mossagli dai deputati, e delle vicende politiche e regolamentari che hanno portato alla nuova contesa sono, sommariamente, riassunte qui.

Oggi, a vicenda almeno temporaneamente conclusa, forse è possibile trarre qualche insegnamento.

Per esempio che…

… se vuoi indebolire un avversario, non farlo sul suo terreno preferito

I maligni sostengono che i deputati abbiano sfiduciato Corbyn perchè, prigionieri della concezione moderata e “blairista” del partito, non avrebbero sopportato una linea politica davvero distante dai loro convincimenti. Loro, invece, hanno sempre sottolineato di muoversi esclusivamente nell’interesse del partito: con Corbyn leader non ci sarebbe stata nessuna possibilità di vincere le prossime elezioni; anzi, i sondaggi avrebbero profetizzato la catastrofe. In più, hanno dipinto un leader incapace di lavorare in gruppo ed avere un rapporto positivo con il governo ombra. E poi, è incompetente e inefficace.

Anche dando per giustificate le critiche, i deputati hanno offerto a Corbyn la straordinaria opportunità di una nuova campagna elettorale; di tornare nelle piazze, a parlare di principi, socialismo, grandi ideali. Cioè la cosa in cui sarebbe stato in grado di batterli anche imbavagliato, persino se gli avessero opposto una figura meno scialba di quella di Smith.

Tornare a rivolgersi “al popolo” essendo nel ruolo della élite di partito che non vuole accettare “il responso della gente” e sperare pure di vincere è obiettivamente bizzarro, almeno di questi tempi.

Ma forse è questo il problema: i deputati laburisti non si sono accorti che..

…c’è un terremoto nel mondo, e anche a casa loro: no, ignorarlo non è una soluzione

In tutto il mondo emergono movimenti e leader che fanno della lotta alle élite economiche e politiche il loro tratto distintivo. E’ persino stucchevole elencarli, ormai: Corbyn, appunto, Sanders, Grillo, Podemos, Trump, messi volutamente così alla rinfusa.

Molti guardano con sufficienza, con preoccupazione, con fastidio questi movimenti; li definiscono antipolitici, populisti, qualunquisti, e via aggettivando. Si tratta di giudizi spesso condivisibili. Certamente, questi movimenti e questi leader hanno tratti ambigui quando non apertamente preoccupanti, a volte parecchio.

Ma non è possibile negare che rispondano a bisogni radicati in una fascia larga della popolazione: guardarli con sufficienza, ritenendo di avere una sorta di diritto acquisito ad ignorarli, dall’alto della propria competenza e della propria capacità di visione complessa, è miope e sciocco; anche se l’ampiezza di visione e la competenza le si avessero davvero, chinarsi a capire ed ascoltare rabbie, passioni, paure che si muovono nella pancia della società dovrebbe essere uno dei primi comandamenti di ogni politico, soprattutto se rappresenta un partito come Labour.

Loro hanno pensato di no, evidentemente. Non paghi di essere stati spiazzati dal referendum sulla Brexit, hanno pensato bene di opporre a Corbyn quello che tutti hanno percepito come una specie di “golpe”. “Ragazzi, spostatevi, dobbiamo lavorare, non ci disturbate col vostro romaticismo”, è sembrato dicessero agli iscritti. Gli iscritti hanno risposto che a loro il romanticismo piace un sacco, e glielo hanno detto piuttosto sonoramente.

Tutto è avvenuto, naturalmente, nel pieno rispetto delle regole del partito laburista. Che sono, bisogna riconoscerlo, quanto di più articolato, dettagliato e preciso si possa trovare in materia; tanto minuziose, spesso, da risultare incomprensibili.

E qui si palesa un’altra questione: un partito con la storia del Labour – vale per tutti i partiti con una lunga storia, è chiaro – può rendere la sua struttura e il suo funzionamento interno più adeguato alla contemporaneità senza snaturarsi e senza perdere il meglio di sé ? C’è il rischio che cambiamenti improvvisati mostrino effetti collaterali imprevisti e destabilizzanti ?

Insomma..

…se schiaccio qui che cosa succede ? Sul fare attenzione alle conseguenze

Perchè il partito laburista ha cambiato le sue regole, e nemmeno molto tempo fa, sotto la guida di Ed Milliband: l’elezione diretta del leader da parte degli iscritti, per esempio, è figlia di quella stagione. Ma non è stata accompagnata da un coerente adeguamento delle altre strutture del partito, permettendo che si generassero conflitti di legittimità come quello di cui stiamo parlando.

Anche in Italia, l’introduzione di strumenti di partecipazione innovativi, ad esempio le primarie, inseriti in un contesto di regole farraginose e ampiamente interpretabili, ha finito per creare più problemi di quanti ne abbia risolti. Tanto è vero che nessuno, oggi, è in grado di dire con sicurezza se, in una determinata situazione – che so, l’elezione di un sindaco – le primarie si faranno sì o no. La risposta è quasi sempre “forse”, ed è demandata a tavoli, accordi e caminetti che rendono ancora più forti quelle dinamiche degenerative che si volevano eliminare.

Anche perchè a non riuscire a darsi gli strumenti per gestire il nuovo, il nuovo se ne infischia, e va per conto suo. E si attrezza mica male, effettivamente: chi ha seguito le campagne di Sanders, o di Corbyn, avrà visto la straordinaria capacità di mobilitazione delle organizzazioni che si sono raccolte attorno a loro.
Nel caso di Corbyn, appunto, la ormai famosa, e per qualcuno famigerata, Momentum.

“Che belle, le startup politiche !” Siamo sicuri ?

Momentum, l’organizzazione che ha affiancato Corbyn sia in questa campagna che in quella dell’anno scorso, viene raccontata in due modi completamente diversi, anzi opposti.

La narrazione favorevole ne sottolinea il carattere di organizzazione “dal basso”, capace di coinvolgere migliaia di persone deluse dalla politica o che mai le si erano avvicinate. Quella contraria la dipinge come una setta trozkista, non interessata a rafforzare il Labour ma caso mai a infettarlo e trasformarlo nell’organizzazione estremista che non è mai stato.

Un paio di articoli articolo belli ed equilibrati usciti sul Guardian e sull’Indipendent qualche settimana fa smentiscono entrambe queste visioni di comodo, tracciando un ritratto più equilibrato e rassicurante. Alcuni nodi, però, che rimangono da sciogliere: a partire dal fatto che si tratta di una associazione, in realtà, privata, a capo della quale c’è una figura non molto nota e anche un po’ ambigua; e, soprattutto, una organizzazione di cui non sono chiare le regole di funzionamento o, più propriamente, le regole democratiche. Può essere inessenziale quando si tratta di affrontare una campagna elettorale, dove non c’è una “linea” da decidere, ma un lavoro da organizzare in maniera potente e creativa a servizio di un leader; diventa più problematico quando ci si struttura come una realtà destinata a durare, come nel caso di Momentum.

A noi qui in Italia, sentir parlare di una organizzazione politica centralizzata, di fatto proprietà di una o poche persone, che proclama la massima democrazia e trasparenza ma che al proprio interno ha una catena di comando rigidissima e difficilmente decodificabile, beh, dicevo, a noi in Italia ricorda qualcosa.

Ci si può chiedere se in questi tipi di organizzazione non si ritrovino alcuni principi che sono tipici delle startup tecnologiche. In particolare, di quelle che si ispirano ai principi dello sviluppo software open source, riprendendone i punti di forza (il carattere distribuito, l’apertura ad ogni contributo, l’apparente assenza di autorità) ma anche i limiti, sempre un po’ nascosti dalla retorica volutamente enfatica, come appunto la scarsa trasparenza delle strutture di comando e una orizzontalità più proclamata che praticata.

In ogni caso, Momentum e Corbyn sono adesso di fronte alla sfida più grande, perchè…

…certo, gli ideali, i sentimenti, le bandiere. Anche vincere le elezioni non sembra una cattiva idea. Tutti d’accordo, vero ?

Per quanto possano essere state strumentali le paure dei deputati laburisti che gli hanno chiesto di farsi da parte, i sondaggi sono effettivamente pessimi, e convincere milioni di elettori inglesi è più difficile che mobilitare qualche centinaio di migliaia di iscritti laburisti. Viene il dubbio che anche da questo punto di vista, però, le analisi vadano aggiornate: si può ancora sostenere che “le elezioni si vincono al centro”, e quindi si debba proporre all’elettorato una figura e un programma sostanzialmente moderato e rassicurante ?

Gli esempi ricordati in precedenza testimoniano di grandi successi elettorali ottenuti al contrario con posizioni assai definite e radicali. E’ del resto ben difficile ritenere Berlusconi un moderato; lo stesso Renzi deve le sue fortune alla forza “disruptive” del suo messaggio, non certo ai bizantinismi tardo-democristiani cui sembra indulgere di tanto in tanto.

E’ stato osservato che l’insuccesso di Bersani nel 2013 è stato determinato più dal non essere riuscito a tenere la propria base elettorale che non alla mancata conquista di quella altrui.

In conclusione, la vittoria di Corbyn potrebbe suggerire a qualcuno che il “vecchio” sia migliore del “nuovo”; a volte, forse, è vero. Altre volte, semplicemente no: è solo vecchio. Per questo motivo speriamo che nessuno si metta a cercare un Corbyn italiano, come qualche anno fa si cercava uno Zapatero, e più recentemente un Iglesias tricolore. Le storie politiche sono strettamente individuali, e la coerenza nei percorsi non è qualcosa che si possa costruire a tavolino, tantomeno dall’oggi al domani: chi oggi si volesse presentare come alfiere della sinistra più coerente, avendo interpretato solo qualche anno fa il ruolo dell’alfiere del rinnovamento “à la Blair”, finirebbe per risultare poco credibile, per quanto odiosi possano essere i suoi avversari. E se queste parole evocano il fremito di un baffo, beh, avete ragione.

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