Partiti e politici

Contro il reato d’opinione. E contro il fascismo

4 Febbraio 2018

Sono contro il reato d’opinione (e fin qui… chi se ne frega) e mi pare che, tutto sommato, chiuso un partito se ne possa costruire un altro in pochissimo tempo. Non serve mettere fuorilegge un’organizzazione politica se si rinuncia a una battaglia culturale contro i fascismi. Fin dai tempi del Fronte Nazionale – fondato da Franco Freda nel 1990 e sciolto in base alla legge Mancino nel novembre 2000 – ha preso vigore il cosiddetto razzismo morfologico ed è diventata centrale la denuncia dello snaturamento delle presunte stirpi europee in una “massa mondiale”, il timore di una loro dissoluzione nella società globale, ritenuta la causa diretta dell’immigrazione di masse extraeuropee. Il nemico, dunque, è questo modo di pensare, e non un partito che si può sostituire in due giorni, per quanto schifo ci faccia.
Non si può nemmeno leggere la destra radicale esclusivamente in termini di subalternità, ideologica e politica, a quella istituzionale e di governo. L’incapacità da parte della destra radicale di esprimere un progetto politico indipendente non va interpretata come una rinuncia a portare il livello dello scontro sul terreno dell’egemonia. Presentare oggi l’intero arco della destra – eternamente nuova, ma sempre vecchissima – come un unico blocco è senz’altro utile dove si vogliano sottolineare i rapporti organici tra post e neofascisti, ma risulta fuorviante ai fini della comprensione e dell’interpretazione dei fenomeni culturali di questo decennio. Tutto ciò sembra obbedire a una poco interessante prassi politica da fronte antifascista elettorale. È tuttavia corretta l’affermazione secondo la quale la nascita di CasaPound, come già era stato fatto con Forza Nuova, risponderebbe al tentativo di egemonizzare il frammentato universo neofascista al fine di traghettarlo ad una collaborazione con la destra politica. Questa visione appare però riduttiva.
Come già nella teoria della controrivoluzione, che si è storicamente formata contemporaneamente alla rivoluzione francese per opera di autori come Burke, de Bonald e de Maistre, nel progetto unitario della destra radicale è presente il nocciolo duro teorico in riferimento alla teoria dell’autorità: una dottrina irrazionalistica e tradizionalistica. Per le edizioni di Ar, Stefano Artuso ha scritto Per l’ordine nuovo [1991]: “I valori sui quali costruire il progetto unitario non possono che venirci dalla tradizione stessa. Più precisamente, si tratta dei caratteri essenziali di ogni compagine politica tradizionale: sacralità, gerarchia, organicità”. La teoria della controrivoluzione, inizialmente strumento della lotta politica delle fazioni feudali e del clero contro la borghesia rivoluzionaria, diventa storicamente – parallelamente al farsi Stato della borghesia, al determinarsi di questa come classe conservatrice – strumento stesso della borghesia contro l’assalto delle forze progressive. Lo scontro contro i fascismi è in primo luogo uno scontro per il progresso. E lo scontro per il progresso non può derogare allo scontro contro i fascismi.
Fascismi che ripropongo la loro idea di autorità nella mistica dell’anima nazionale. L’ordine autoritario che abbraccia lo Stato e la società è l’ordine divino e naturale delle cose. L’ordine divino si fa ordine naturale, dunque, e l’ordine naturale si fa ordine di classe. La teoria della controrivoluzione crea il moderno tradizionalismo per soccorrere l’ordine sociale minacciato. La matrice comune della destra italiana si racchiude dunque nella critica antiprogressista della società borghese. Tale dialettica tutta interna all’orizzonte borghese, già risolta in passato nelle svolte autoritarie del capitalismo in crisi, è forse, forse, non più riproducibile attualmente. Tolto il folclore – che però diventa anche strumento di morte, com’è avvenuto ieri a Macerata – è importante individuare i presupposti che formano la base ideologica del fascismo di ieri e di oggi: antiliberalismo, mondializzazione, immigrazione extraeuropea, razzismo, differenzialismo, capitale nazionale contro capitale globale; ma sempre, senza alcuna esclusione, guerra di classe e contro il progresso.

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