Partiti e politici

Conti stellari

14 Marzo 2018

Nel dubbio che possa avviarsene un’altra ancora non s’è dismessa la precedente campagna elettorale. Più d’uno è rimasto in servizio propagandistico permanente effettivo. La cosa più comica, in questo gioco al rilancio, che vedemmo e denunciammo fin dagli albori di quella conclusasi, è che in cotale campagna si accusa di pregiudizio chi prova a formulare un giudizio sulle cose che vengono dette.

Non credo che il Movimento 5 Stelle abbia sbancato al Sud sol perché ha promesso il reddito di cittadinanza. Ha influito, quella promessa, eccome. Negarlo è illogico, fa a cazzotti con l’evidenza. Ma non è stato il solo elemento. Il sapore principale è quello del voto contro: contro i politici, la politica, i governi, i conti, i vincoli, la realtà che non piace. La prevalenza dell’ingrediente “contro” è quel che fa somigliare diverse minestre attualmente in cottura, nel mondo occidentale. Tema decisivo, ma qui lo accantono (non si dica che non lo si vide, perché quel che scrissi in “Viva l’Europa Viva” mi pare largamente confermato, a tal proposito). Qui mi concentro sulla parte costruttiva del programma pentastellato. Sulle loro proposte economiche. Posso farlo? Molti lo negano, dicono che se si fanno delle critiche loro aumentano i voti, che è pericoloso saper far di conto, che è pretestuoso prenderli in parola. Ragionamenti, questi (non i loro), da matti. Lo faccio.

1. Il reddito di cittadinanza. Il concetto è che chiunque abbia un reddito inferiore a 780 euro, o non lo ha affatto, riceverà la differenza dallo Stato. Diventano 1560 se ha coniuge e figlio a carico. Il tema non è (solo) quanto costa e dove si prendono i soldi, ma: è giusto? Aiutare le persone in difficoltà lo è, ma questo esiste di già. Si può far meglio, certo, ma quella che propongono è una cosa diversa, tanto che essi stessi prevedono un aumento delle domande, rispetto a quelle ora esistenti per indigenza. Il che pone un primo problema: posto che la gran parte della disoccupazione si concentra nelle aree con più alta economia irregolare e nera (lo dico da uomo del Sud), non è che si crea una nuova professione, il senza reddito, che a sua volta diventa un incentivo a tenere in nero ogni altra attività?

2. No, rispondono i proponenti, perché ci sono meccanismi capaci di bloccare questa degenerazione. Ad esempio: il sussidio si perde se si rifiuta per tre volte un lavoro. Giusto, esiste anche in altre legislazioni europee. Il guaio è che, secondo i proponenti, le offerte di lavoro devono essere “eque e vicine al luogo di residenza”. Il concetto di vicinanza ha un senso, perché per pochi soldi non posso spostarmi troppo, ma in quello di equità è compreso anche il rispetto delle mie aspettative e vocazioni. Il tutto a cura di uffici del lavoro e funzionari pubblici, che non esistono e dove esistono già non funzionano. Temo che, in questo modo, il fatto che si crei una categoria di professionalmente mantenuti non è neanche un rischio, ma una certezza.

3. Pagare questa roba, comunque, dicono i proponenti, non sarebbe un problema. Per le seguenti ragioni: a. non appena il sistema sarà funzionante molti vorranno giovarsene, il che li sposterà dalla categoria degli scoraggiati e inerti a quella dei disoccupati; b. aumentando (di molto) i disoccupati cresce anche il prodotto interno lordo potenziale, perché se molte più persone chiedono di lavorare la ricchezza complessiva potrebbe crescere di più, se solo ci riuscissero; c. siccome il deficit strutturale si calcola sul pil potenziale, ne deriva che aumentando i disoccupati aumenta anche il possibile deficit; d. con il quale, rispettando le regole europee, si potrà pagare il reddito di cittadinanza. Fine del riassunto: è uno scherzo? Aumentando la spesa assistenziale e improduttiva si aumenta solo il debito, che è l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno. Inoltre una tale trovata, sicché tutti i cittadini con più di 15 anni e meno di 65 possono essere contabilizzati come disoccupati, così incrementando il reddito nazionale, non appare destinata a essere letta come un geniale trovata economica, ma come un grossolano raggiro.

4. No, dicono i proponenti, questo è pregiudizio e ignoranza: aumentando la disponibilità di denaro aumentano i consumi, che a loro volta spingeranno l’economia. L’ho già sentita, questa. È la teoria che regge tutti gli spendaroli dei soldi altrui, dal vecchio clientelismo democristiano al giovane virgulto degli 80 euro. Sono andicappato, nel seguirli, perché Keynes l’ho letto e so per certo che non fu mai keynesiano al loro modo. Ma lasciamo perdere, che si parla delle letture ci si ritrova nella lobby globalista ed elitaria. Non funziona, per una ragione che potete andare a constatare personalmente, in migliaia di mercatini e discount: chi ha pochi soldi, ovviamente, compra quel che costa meno, il che significa babbucce cinesi, vestiti fatti nel sud est asiatico e alimenti a basso valore aggiunto (non a caso la “povertà”, nel nostro mondo, si accompagna non alla denutrizione, ma all’obesità). Morale: esporteremo soldi del contribuente verso produttori di roba a bassa qualità. Forse non quel che si propongono i proponenti.

5. Tanti investimenti (parlano di 50 miliardi) pubblici, per “innovazione, energie rinnovabili, manutenzione del territorio, contrasto dissesto idrogeologico, adeguamento sismico, banda ultralarga, mobilità elettrica”. Ora, a parte che si potrebbe utilmente ristudiare la storia dell’Iri e di come funzionò all’inizio (è vero, c’era il fascismo, ma Beneduce seppe lavorare, e funzionò anche dopo, ma solo fino a un certo punto), resta un problema: se si aumenta sia la spesa corrente per sussidi che quella per investimenti, da dove arrivano i soldi? Neanche dall’avere trovato gas e petrolio, direi, vista la passione per le rinnovabili. La somma, che fa il totale, comporta un aumento considerevole del debito. Ma se cresce il debito, alla vigilia della chiusura dello scudo Bce, crescono i tassi d’interesse e i soldi li buttiamo tutti nella fornace del costo del debito. Spero non sia osservazione troppo pedante ed elitaria, ma i conti se ne fregano dei pretesi rivoluzionari.

6. Riduciamo l’orario di lavoro, in modo da contrastare la robotizzazione e lavorare più numerosi. A conforto di tale teoria è portata una affermazione: i tedeschi lo stanno facendo. Per la cronaca: i tedeschi hanno fatto l’opposto e non lo stanno facendo manco per niente, quello cui si fa riferimento è un contratto pilota che assicura ai lavoratori di quel settore una doppia possibilità: i. diminuire l’orario di lavoro a 35 ore settimanale mantenendo inalterato il salario, ma solo per due anni e per motivi familiari; ii. aumentare l’orario di lavoro, incassando un salario più alto. Curiosamente la prima cosa è raccontata senza limiti temporali e la seconda del tutto cancellata. L’Italia perde competitività da molti anni, la discesa è iniziata negli anni 80, comportando un progressivo rallentamento della crescita, fino alla recessione. Se diminuisci l’orario di lavoro a parità di salario la produttività scende ancora. E’ una teoria d’impoverimento. In quanto al fatto che lavorando di meno si bloccherebbe la robotizzazione, sarei portato a credere l’opposto. Semmai è il progresso tecnologico a far diminuire la necessità di lavoro e aumentare la produttività (si pensi alla zappa e al trattore).

7. Si devono far crescere i salari. Giusto. Lo ha detto anche la Bce. Ma, occhio: se i salari crescono facendo lievitare i costi di produzione non aumenteranno l’occupazione e la ricchezza, ma le fughe. I salari devono crescere facendo scendere la pressione fiscale e previdenziale, il che comporta una diminuzione delle esigenze di finanza pubblica, quindi meno spesa, meno deficit e meno debito. Più o meno l’opposto di quel che viene proposto.

Non ho pregiudizi, ma rivendico il diritto di far funzionare la testa. Mi dicono: vanno messi alla prova. Giusto, hanno vinto, si accomodino. Tocca a loro trovare il modo, con compromessi parlamentari. Ma non è che, siccome vanno messi alla prova, ciò significa che non si debba fiatare per una decina d’anni. Se lo tolgano dalla capa. Non è stato concesso a Berlusconi, non è stato concesso a Renzi, non sarà mai concesso a nessuno. E se reagiscono con una caterva di messaggi social, dandoti del nemico del popolo, pazienza: dialogo sempre con piacere, me ne impipo degli insulti e riconosco da lontano gli eroi del copia e incolla. Vincere le elezioni (ancora complimenti) significa avere più forza per tradurre in pratica le proprie idee, non significa che chi è democratico debba inchinarsi a quelle idee. Quella è una zuppa diversa, vagamente ributtante.

 

Davide Giacalone

www.davidegiacalone.it

@DavideGiac

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