Partiti e politici
Conte e il partito che non c’è
Si susseguono incessanti, in queste ultime settimane, analisi e sondaggi che cercano di stimare i consensi degli italiani per una formazione politica che non c’è, e che forse mai ci sarà: il partito di Giuseppe Conte. Qualcuno parla di un potenziale elettorato prossimo al 30%, altri di una quota intorno al 15% che lo voterebbe, altri ancora, più pessimisti, di un ridotto 8-9% di consensi. Si sprecano poi i paragoni con un altro premier, il Mario Monti che provò anche lui a risanare il paese, ma più dal punto di vista economico, dopo le malefatte – così si diceva – del governo Berlusconi. E che scese effettivamente in campo nelle elezioni del 2013, quando Scelta Civica ottenne poco più dell’8%, molto distante da quel 30% che una famosa ricerca della Luiss dell’aprile dell’anno precedente gli aveva (un po’ incautamente) pronosticato.
Oggi la storia si ripete con un presidente del consiglio che, peraltro, una affiliazione di massima già ce l’ha, quella con il Movimento 5 stelle che l’ha candidato prima come potenziale ministro e poi direttamente come capo dell’esecutivo. Ma tant’è. I giornali vivono di sensazionalismo, e dunque chiedono ai sondaggisti di creare la notizia: quanto valevano elettoralmente le sardine? quanto vale un partito di Conte? Un numero che basta a creare un titolo, benché spesso privo di contenuto, perché gli scenari ai quali ci troviamo di fronte sono aleatori, cangianti in pochi mesi, come abbiamo visto nel caso di un accordo giudicato impossibile fino ad un anno fa, quello tra Pd e M5s.
Ma insomma, quanto vale? Lo dico subito: impossibile saperlo. Perché dipende da innumerevoli fattori, dagli scenari che si innescheranno nel prossimo futuro, dalle scelte che il governo è costretto ad affrontare, dal comportamento delle diverse forze politiche, sia nella maggioranza che nell’opposizione. Innanzitutto, il tema della fiducia personale in Conte. Oggi è piuttosto alta, ma se le manovre economiche dell’autunno non funzionassero, o fossero troppo onerose per i cittadini (come è stato per Monti) si ridurrebbe non poco. E quindi, chiedersi quanto varrebbe il partito di Conte se si votasse oggi non ha alcun senso, perché oggi non si vota, e la fortuna di un uomo politico a capo di un partito inesistente non si può paragonare alla fortuna di un partito che ha alle spalle anni di vita, una sua storia.
E poi: cosa sarebbe un partito di Conte? dove si posizionerebbe? Potrebbe sostituire il M5s, oppure affiancarsi a questo, stare nel centro dello schieramento, con un occhio all’alleanza con il Pd, oppure restare aperto anche ad altre ipotesi, più vicine al centro-destra di Forza Italia. Le risposte degli intervistati alla disponibilità di voto per Conte sono per questo talmente aleatorie, ognuno si immagina quel che vuole, che non hanno un reale senso.
E ancora: come si comporterebbe il Movimento 5 stelle? Si ritirerebbe, lasciandogli virtualmente il suo elettorato, oppure lo attaccherebbe a ogni piè sospinto, dipingendolo come un traditore? Lo stesso Partito Democratico lo potrebbe appoggiare, come appoggiò Scelta Civica nel 2013 per un eventuale governo comune (che non si realizzò per la performance non positiva di entrambi), o invece osteggiare perché potrebbe rubargli voti.
Infine: cosa significa “elettorato potenziale”? Quelli che sarebbero disposti a votare per un partito con Conte leader, forse. Berlusconi, prima di scendere in campo, aveva un elettorato potenziale del 40%, poi ottenne il 20%; a Monti come abbiamo visto andò molto peggio, dal 30% all’8,5%. Tutti possono essere potenziali elettori, prima che i contorni di un partito non siano chiaramente definiti. L’attuale premier, prima con il centro-destra e poi con il centro-sinistra, è difficilmente identificabile con una specifica area politica.
Il suo eventuale partito si nutre di sensazioni, di emozioni, di simpatia per la sua persona, non di vere scelte elettorali. Forse è meglio, per i nostri giornali, dedicarsi a fornirci notizie reali, al posto di improbabili scoop.
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