Partiti e politici

Confessioni di un vecchio barracuda a una sardina

14 Dicembre 2019

Anche nel ’77 le piazze erano mari, ma erano pieni di barracuda. Pesci che sciamano in branco, un comportamento in comune con le sardine, ma che hanno i denti, una caratteristica comune con la murena terrorista, che però vive da sola in antri scuri, pronta a colpire con un guizzo.
Oggi il ’77 è dimenticato, oppure ricordato come il tempo delle murene, ma il popolo delle sardine ha molti punti in comune con quello dei barracuda. C’è una differenza fondamentale: i denti, cioè la violenza. Ma, a parte questo dettaglio, che come vedremo un dettaglio non è, le sardine sono molto più simili ai barracuda che non ai pesci “vaffanculo”, cui sono paragonati da commentatori che hanno memoria corta.

Le sardine sono profondamente diverse dal Movimento 5 stelle, semplicemente perché i 5 stelle non sono un movimento. I 5 stelle sono nati come il pubblico di un artista messo su un palco da un impresario. E sono stati l’artista e l’impresario a battezzarli “movimento”. In realtà era solo la vendetta di “Canzonissima” e di “Sanremo”, che hanno e ammorbato l’adolescenza della mia generazione (che invece sognava di ascoltare il rock), contro la sfida di Mediaset, dopo che anche Mediaset era scesa in campo venti anni prima.

Ci eravamo dimenticati cosa fosse un movimento, e le sardine oggi ce lo ricordano. Un movimento nasce senza palchi e senza istrioni. Fa nascere spontaneamente e naturalmente una leadership senza ricorrere a reperti del casting di Pippo Baudo. E non trasmette satira rancorosa, ma ironia distaccata. Ho sentito un giornalista con i capelli bianchi notare, come novità mai vista, questa autoironia di definirsi “sardine”. E invece a me, sin dal primo giorno, questa definizione ironica, e la città di Bologna,  ha ricordato quelli che nel ’77 si chiamavano “indiani metropolitani”.

La differenza sta nei denti, cioè nella mancanza di violenza. La mancanza di denti è una forza per diversi motivi. In primo luogo, consente l’aggregazione tra generazioni: la protesta è aperta a tutti a prescindere dall’età e dagli ormoni. In secondo luogo, viene percepita come vera proprio perché non può essere ricondotta a una questione di ormoni o di disagio soltanto giovanile. In terzo luogo, in una politica ufficiale fatta di urla e  di coatti, il silenzio e il contegno hanno la forza di mille scontri.

Resta comunque da chiedersi perché la stessa opportunità non sia toccata a quelli della mia generazione. Perché abbiamo dovuto mostrare i denti? La prima risposta che mi sono dato è che la nostra violenza era una conseguenza naturale dell’atteggiamento della società e del potere di allora nei confronti dei giovani. La prima cosa che mi sono chiesto davanti alle sardine è stata: cosa succederebbe se sulle sardine sparassero i lacrimogeni? Forse diventerebbero barracuda?

Mi ha sorpreso sentire Mattia Santori dire alla televisione che avevano chiesto alle autorità Piazza del Popolo e si sono sentiti rispondere: “Perché non Piazza San Giovanni?”. Non ho potuto fare a meno di ricordare quando qualunque piazza era negata, e noi fluivamo in rivoli nel lago della piazza e partivamo immediatamente per allagare le vie della città, difesi da qualche cordone di servizio d’ordine fatto da noi stessi. E il fatto che la polizia non ci attaccasse, come avrebbe dovuto, era lasciato a un labile equilibrio di teoria dei giochi (i cui princjpi ancora non conoscevo).

Le recenti commemorazioni del 12 dicembre 1969 e la storia della strategia della tensione mi hanno fatto riconsiderare questa visione difensiva del nostro uso della violenza, e mi hanno mostrato un clima che da “pesce piccolo” nel mare delle manifestazioni di allora non avvertivo. Per i nostri genitori, che ricordavano il fascismo, la politica era sinonimo di violenza. Mia madre mi ricordava che in casa sua, quando si doveva parlare di politica, si chiudevano le finestre. E quell’epoca  non era finita: l’assassinio era ancora uno strumento di lotta politica, come la storia dell’epoca delle stragi oggi conferma al di là delle convinzioni di parte.

Ma ci sono punti in comune tra oggi e allora? Quello che ovviamente salta agli occhi è il fatto che il PD oggi come il PCI allora non è in grado di comunicare con questa piazza.  Non si contrappone alla piazza, come si contrapponeva il PCI di allora, e non lo criminalizza (un altro vantaggio del non usare la violenza). Ricordo una polemica con un parlamentare del PD, che disse che stavano chiusi nelle sezioni “perché quelli in piazza avevano le pistole in tasca”. Oggi il PD non ha queste paure estreme, ma vive le stesse contraddizioni e la stessa mancanza di coraggio. Il coraggio di accogliere, o di rivelare al pubblico, i valori di inclusione e solidarietà che le sardine stanno esprimendo con la naturalezza di chi dice: “il re è nudo”.

Il mio augurio alle sardine è che si trasformino da società civile in politica, al contrario del mio movimento, che dalla politica è refluito in larga misura nella società civile. E che rinnovi la classe politica come il pubblico di Beppe Grillo non è stato in grado di fare. Il fatto che il tesoriere del PD di oggi sia la stessa persona che era nello staff del ministro dell’interno che nel ’77 chiamavamo Kossiga, indica che forse questo rinnovamento, particolarmente nel partito politico che vorrebbe rinnovare la politica, non è più rimandabile.

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