Partiti e politici
Come rispondere alla Destra
Bolsonaro ha vinto le elezioni in Brasile, una delle nazioni più popolose e grandi al mondo; si profila sempre più una realtà politica delineata a prevalenza destrorsa. Ma come possiamo interpretare questo fenomeno? Le politiche di destra rimandano a una conservazione di uno status, se non a un ritorno perfino reazionario a tematiche socioeconomiche arretrate e individualiste. In questo ultimo caso non è sbagliato parlare di estrema destra, ed estrema è la destra che governa la parte verde del nostro paese come è estrema la destra di Putin o di Trump, al pari di Bolsonaro. Non ci riferiamo, dunque, a una politica borghese alla Juncker, la cui area ha sempre un giudizio contrastante nei confronti delle destre “dal basso”, proprio perché dal basso, ma che in casi di necessità non si preoccupa troppo di convergere sulle medesime posizioni, a farsi trascinare dal vento identitario.
Questo perché ciò che in realtà difendono questi integralismi di destra pseudosociale, il fine ultimo se vogliamo, è proprio la difesa dei rapporti economici vigenti. Ma andiamo per gradi. Ci si può confondere e pensare che questa propedeutica al fascismo, o che un movimento fascista, faccia dei suoi aspetti evidenti di intolleranza, xenofobia, violenza, nazionalismo il nucleo della sua ragion d’essere. Una sorta di libertà alla rovescia; e dunque lo strizzar l’occhio (o prestar la lingua) agli estremismi, dei politici sopracitati, sia il vero motivo per cui potremmo in futuro vivere un periodo nero. Al contempo ci sono persone che rifiutano che ci sia un rischio di ritorno al fascismo perché ancora non si vedono fez sulle ventitré o sfilate coi piedi a papera. Dal mio punto di vista si sbagliano entrambi.
La seconda considerazione è banale da archiviare, perché se ci trovassimo sulla tavola l’olio di ricino saremmo già in dittatura, e la nottola di Minerva avrebbe fatto meglio a dispiegar le ali da un pezzo, verso boscaglie più serene. Riguardo alla prima considerazione, cioè per comprendere invece come mai il fascismo non ha in sé lo scopo di essere illiberale per essere illiberale, dobbiamo capire come nasce e a chi si rivolge. Innanzitutto esso è diverso dalle dittature dei colonnelli, o dei colpi di stato alla Pinochet, perché nasce in un ambiente democratico, passando per la dialettica democratica. Non è imposto, ma sorge da una parte della popolazione e ne coinvolge poi altre autopropiziandosi. E qual è la parte che forma la base di questo integralismo? La classe apparente della piccola borghesia, il ceto medio per dirlo giornalisticamente. In una situazione economica difficile, dove a livello mondiale si stanno rivedendo i rapporti di forza tra grandi potenze, dove fenomeni entropici quali le migrazioni sono segnale di cambiamenti sociali e di insicurezza sul futuro, il piccolo borghese, colui che aspira a ricavare ricchezza dal possedere, invece che dal lavorare, e che il suo sostentamento attuale sembra dipendere da una via di mezzo, si adombra. Si preoccupa verso se stesso perché teme che non riuscirà mai ad emanciparsi dalla sua posizione e attribuisce la colpa di questa sua delusione, questo rancore, a cause esterne più che interne, a una debolezza della società di mantenere invariati quei rapporti economici che invece lo stavano favorendo.
Per fare un parallelo col fascismo storico partiamo dall’interventismo della prima guerra mondiale. L’Italia era un’economia che voleva modificarsi da contadina ad industriale. C’erano i giovani studenti arringati da D’Annunzio nelle piazze del maggio 1915, che non avevano troppa voglia di attendere il lento passaggio dall’una all’altra, e che in una sorta di nichilismo positivo speravano che la guerra fosse la grande molla per far fare il salto al paese. Capite la disperazione di questa immatura classe dirigenziale dopo la sconfitta mascherata da vittoria del ’18, al sorgere del pericolo del biennio rosso e quindi al crollo di tutte le aspettative. Il colpevole, come si legge nei diari dopo Caporetto, era un popolo che si era arreso e che non voleva più combattere, e che perciò avrebbe avuto bisogno del bastone.
Da quanto detto fin ora già si intuisce che la destra in doppiopetto alla fine convergerà verso posizioni fondamentaliste per sedimentare i rapporti economici che le convengono e per scacciare a bastonate ogni velleità socialista. Il fascismo in un momento storico di instabilità economica e dove si corrono dei rischi superiori a quelli che si è disposti, è come la nera pece che impasta la struttura che più favorisce i rapporti di produzione capitalisti e che consente di espandere le sue gerarchie nella sovrastruttura politica. A veicolare aspettative di rivalsa e di affermazione anche nella popolazione meno abbiente, ci penserà il leader e la propaganda, con aspetti troppo complicati da snocciolare in un breve articolo, ma che si sviluppano come un sentimento di grandezza non corrisposto ma a cui si può dar voce in vari modi, attraversati spesso da forte contraddizione e che fanno leva su aspetti morali da non sottovalutare. Dio come ordine e sentimento di avvento messianico, patria come luogo dove corrispondere la grandezza e famiglia come collante e unificatore di realtà differenti e inconciliabili.
Scegliersi il duce, il comandante o il capitano non è secondario per l’aspirazione sociale della destra. Nel formarsi, il fondamentalismo, si agglomera attorno al capo e al crescere di questo crescerà anche il partito. Un formarsi e conformarsi attorno al leader, che nella narrazione integralista esclude ogni possibilità critica, perché l’appartenenza non è più qualcosa a cui ci si associa ma è spinta interiore e basilare del proprio io. Così apparentemente si salva la propria razionalità personale, ma in realtà questa è impossibilitata a giudicare il movimento politico da cui il capo sublima come manifesto e bandiera saldante. Mussolini è il Fascismo e quel fascismo non potrà mai più esistere senza Mussolini.
Se la storia si ripetesse solo con i medesimi eventi specifici sarebbe fin troppo facile comprenderla e predire il futuro. Quello cui oggi assistiamo e che preoccupa per un possibile ritorno di un epoca fascista, scaturisce dal fatto che siamo in un periodo di forte instabilità e che l’aspettativa di un benessere nella forma liberista, a cui tutti con duro lavoro possiamo accedere, fa comprendere la maggior parte della popolazione in quella “classe media” che non è che il corrispettivo odierno della piccola borghesia. È più che mai essa a esser delusa dalla possibilità di non progredire la sua condizione, nei confronti delle proprie attese o rispetto alla condizione dei padri. La delusione si trasformerà in rancore e questo potrà far nascere il desiderio di rivalsa, a cui il fascismo come vettore potrà dare voce con il suo nazionalismo e la sua xenofobia, dando una possibilità di riaffermarsi anche alle pericolanti borghesie occidentali, questa volta però con una platea fin da subito notevolmente allargata.
Come si può rispondere a tutto ciò? Cosa dovrebbe fare la Sinistra? Ormai è chiaro che secondo la mia analisi l’aspetto fenomenologico razzista e violento non è componente ontologica del fondamentalismo della destra sociale, ma che questa scaturisce da motivi economici. La prima difficoltà è dunque comprendere che la classe lavoratrice, il primo interlocutore della sinistra, è insoddisfatto e si aspettava di continuare nella positività yuppistica dell’ultimo secolo; che per far ciò non si riconosceva più come classe sfruttata e dipendente dai metodi di produzione, ma come piccola borghesia. Insomma è venuta a mancare la coscienza di classe. E la sinistra senza questa, può inserirsi solo in un contesto di centro liberale democratico o neokeynesiano. Sarà fondamentale portare avanti insieme all’emancipazione civile un primario discorso, che è quello della revisione perlomeno riformatrice dei rapporti economici. Solo così si potrà rispondere alla necessità di rivalsa del popolo lavoratore. Bisognerà dire i giovani che sono stati illusi, che non incontreranno mai una tranquillità economica sotto principi liberisti e che il mito imprenditoriale è falso quanto quello di Atlantide, e che anzi come Atlanti a loro è richiesto il sostegno di un apparato economico che a poco a poco si sfalda, e per autopreservarsi è disposto al fascismo.
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