Partiti e politici

come (non) si fa l’opposizione

25 Maggio 2018

Finalmente ci siamo: il nuovo governo si sta formando e potrebbe giurare entro pochi giorni.

Le forze politiche uscite sconfitte dalle urne, che hanno vissuto gli ultimi mesi in una malinconica afasia (rotta solo, di tanto in tanto, da patetici scazzi interni), saranno costrette a uscire dal limbo per assumere il ruolo che la Costituzione assegna loro: quello di opposizione. Ne saranno capaci? Dai primi passi (falsi) di diversi dirigenti, c’è da dubitarne.

Alcuni, ancora vittime dello shock elettorale, balbettano di improbabili collaborazioni con il nuovo governo; altri, in preda a una sorta di sindrome di Stoccolma,  si entusiasmano addirittura per le sue proposte. Queste dimostrazioni di confusione e di pochezza politica sono un balsamo formidabile per la maggioranza, perché ne dimostrano l’egemonia.

Tra i politici bruscamente cacciati dalle stanze del potere prevale invece un insopprimibile rancore, che si manifesta nelle forme più varie e più autolesioniste: dall’ironia sprezzante verso i nuovi protagonisti agli attacchi pretestuosi ad alzo zero, dai presagi di sventura nazionale fino alle recriminazioni contro gli elettori colpevoli di aver votato per “gli altri”; i più autocontrollati esibiscono atteggiamenti di sufficienza e di tantopeggismo che li rendono definitivamente antipatici. Tutto ciò fa perdere più consensi agli autori che ai bersagli delle critiche, perché restituisce agli elettori l’immagine di un’opposizione irrancidita e inservibile.

I più svegli hanno inaugurato una resistenza di tipo “valoriale”: si indignano davanti a ogni proposta non “ortodossa” dei partiti di maggioranza, sventolano le proprie bandiere ideali… senza rendersi conto che la gran parte degli elettori ha condiviso proprio quelle proposte con il voto del 4 marzo e ora vuole solo capire se sono realizzabili oppure no. Questa attitudine appare astratta e lontana dalle aspettative dei cittadini, dalla loro quotidianità e dai loro problemi; si tratta insomma di un altro autogol.

Nessuno sembra al momento in grado di esercitare una vera opposizione, come quella che Lega e Movimento Cinque Stelle hanno messo in campo per tutta la legislatura passata incalzando il governo in carica sul merito delle sue iniziative e costruendo una classe dirigente nuova e credibile.  E’ vero che questi due partiti hanno speso molto tempo ed energie nell’additare le magagne personali degli avversari politici; ma hanno saputo contrapporvi candidati “puliti” e soprattutto si sono concentrati sui temi concreti che più interessavano ai cittadini, avanzando proposte chiare (sebbene spesso irrealizzabili) che suggerivano un’alternativa di governo desiderabile.

E’ proprio l’alternativa il cuore di una vera opposizione: per costruirla, le forze politiche della minoranza dovrebbero dedicarsi con urgenza a comprendere quali sono le domande profonde, emerse nel voto del 4 marzo, cui non hanno saputo dare risposta. Poi, dall’opposizione, dovrebbero dimostrare all’opinione pubblica che a quelle domande il governo sta rispondendo in modo inadeguato e suggerire proposte migliori. Ancora, dovrebbero mettersi  “in ascolto” della società per cogliere in anticipo i problemi nuovi che ne stanno emergendo e elaborare soluzioni credibili; infine, dovrebbero impegnarsi a selezionare una nuova classe dirigente affidabile e attraente per gli elettori.

Per questa via, i partiti oggi sconfitti possono sperare di risalire la china del consenso; se invece resteranno “seduti” sul proprio traumatico fallimento, limitandosi a balbettare, a gettare fango sugli avversari o a rivendicare astratte battaglie valoriali, si condanneranno da sé ad una rapida e definitiva estinzione.

 

 

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