Partiti e politici
Come avrebbe sorriso Miriam Mafai dei morti viventi del Pd?
Negli anni, mi è capitato di ritrovare spesso persone care tra la folla. Di vedere un amico perso troppo tempo prima riprodotto in un altro umano, che ne custodiva un tratto talmente distintivo da mandarmi in confusione affettiva. A questo piccolo fenomeno di dissociazione ottico-sentimentale, dev’esserci probabilmente una spiegazione psicanalitica che non ho mai approfondito. Questa mattina, per esempio, ho rivisto Miriam Mafai in una signora che aveva proprio quel suo tratto, i suoi capelli alla Samuel Beckett, e soprattutto un sorriso sempre accennato che era la meraviglia di quel volto scolpito. Il sorriso di Miriam ha illuminato molti dei miei anni politici romani, perché la selva – a sinistra – è sempre stata piuttosto oscura. Ma soprattutto mi ha fatto pensare a un fenomeno che ho dibattuto per anni e su cui sono sempre stato estremamente dubbioso: essere intellettualmente liberi pur essendo evidentemente schierati. Ancora oggi mantengo dei dubbi e forse oggi, con il panorama di lustrastivali che affolla le nostre gazzette, e che soprattutto ci scrive quotidianamente, qualche motivo per dubitare sarebbe lecito. Se invece penso a Miriam Mafai, penso esattamente a quel tipo di intellettuale e di giornalista capace di andar contro i suoi stessi sentimenti e spesso le sue storiche convinzioni. Rivelerò, ad anni di distanza, un piccolo episodio che è la sintesi di una donna libera, intellettualmente sempre vivace e sorprendente, a cui non ho mai sentito pronunciare l’espressione «schiena dritta» perchè l’avrebbe vista come malinconica (auto) certificazione di una normalità seppur virtuosa. Si era nella consueta riunione del mattino a Repubblica, direzione Mauro, nei pienissimi anni di battaglia senza esclusione di colpi contro Silvio Berlusconi. Ezio Mauro aveva piegato il giornale a un atteggiamento di scontro senza confini, dedicando ogni giorno e per lunghi anni intere e intere pagine al Caimano (ricordate Franco Cordero, che coniò l’espressione poi ripresa da Moretti per un film dimenticabile?). Miriam, che partecipava alla riunione, quella volta si permise di criticare la linea di Repubblica e dunque di Ezio, giudicandola eccessivamente piegata e unilaterale. Mal gliene incolse, Mauro prese cappello e senza un minimo di eleganza e di educazione la prese a male parole di fronte a tutti, dicendole che se non le stava bene avrebbe potuto anche alzarsi e andarsene. Cosa che lei fece, con un peso di amarezza enorme per il trattamento ricevuto. Quante volte, nei vent’anni della direzione Mauro, si sono levate pubblicamente voci dissenzienti? I vecchi di Rep potrebbero dire, ma in fondo tutti noi sappiamo.
Sarebbe meraviglioso ritrovare una sera di queste Miriam Mafai a una cena di amici. Ne faremmo come al solito l’approdo finale di tutte le nostre curiosità, avidi di capire meglio e fino in fondo la dissoluzione di un partito come il Pd. Ricordo bene quando rideva molto delle umanità cui la dignità faceva, diciamo così, difetto. Credeva di poterne ridere senza pedaggi sentimentali da pagare, perché di quelle persone ne aveva viste molte, moltissime, e intercambiabili. Era la quota parte inevitabile della politica. Ma come avrebbe interpretato un ribaltamento così poderoso, ai limiti dell’indecenza, di questi tempi moderni in cui i camerieri politici si sono centuplicati, formando interi eserciti di signorsì che non hanno mai (mai) uno scatto di visione personale ma si allineano, sempre e comunque, a volontà “superiori”? Questo fenomeno, forse, non si sarebbe risolto con un sorriso e un bicchiere, ma avrebbe richiesto un suo sguardo profondo sulla degenerazione o, forse meglio, sul saccheggiamento della politica avvenuto in questi anni, dei valori, delle storie, dei riferimenti, di tutto ciò che poteva richiamare una passione condivisa. Questo saccheggiamento è stato scientifico, certosinamente cercato, è stato obiettivo di classi dirigenti che volutamente hanno abbassato il tono e la profondità dei concetti per poter emergere pur da condizioni mediocri, oppure è la società stessa nel suo complesso più ampio che ne ha fatto a meno, che non ne ha più sentito la necessità, che ha sviluppato altre esigenze, considerando quella vecchia politica come, al massimo, orpello per vecchi nostalgici? Tutto ciò l’avrebbe portata a riflessioni profonde, probabilmente amare, ma non è affatto detto che una risposta sarebbe arrivata.
È anche e soprattutto in questo salto generazionale che le differenze emergono impietose. Chi ha vissuto una certa politica, e ovviamente ha un’età più matura, ha potuto vivere di riferimenti. Vi basti scorrere qualche bacheca social e il giochino vi apparirà in tutta la sua natura. Ognuno, anche banalmente, pone all’attenzione degli “amici” un nome, una figura, di un passato magari anche recente che noi vecchi del bosco avremmo considerato una quarta, quinta, fila. Ecco, il giochino è fargli scalare tutte le posizioni della classifica e porlo idealmente – oggi – ai vertici di questa politica rispetto ai nanetti contemporanei. Questa operazione, che ha un vago sapore nostalgista, alla fine non fa mai i conti con la contemporaneità, con i pedaggi che la politica attuale ci sottopone. Questa operazione temo, credo, non sarebbe appartenuta a Miriam Mafai, la quale invece si sarebbe molto esercitata con la sua cattiveria giornalistica sui “viventi”, meritevoli di uno sguardo attento e preciso. Come dire: abbandoniamo i paralleli della storia che possono solo farci soffrire e sbandare in prospettiva, il che non significa dare il via libera alla semplificazione di una nuova classe dirigente che ha azzerato quelle storie. Significa invece battersi per capire questa, di storia. L’«altra» è già scolpita nella testa e nel cuore di chi l’ha vissuta, l’ha studiata.
Sì, sarei stato curioso di sapere cosa avrebbe detto Miriam dei morti viventi di questo Partito Democratico.
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Immagine di copertina: Miriam Mafai e Giancarlo Pajetta nella loro casa di Roma in uno scatto di Fabrizio Ferri. Tratta da miriammafai.it
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