Partiti e politici
Col Governo Draghi i partiti piantano bandierine, ma non contano più nulla
C’erano una volta i partiti, quelli che facevano il bello e il cattivo tempo e talvolta condizionavano le vite dei cittadini, in positivo e in negativo; quelli che nell’ultimo periodo decidevano la loro linea politica guardando soprattutto i sondaggi e i gradimenti del momento. Con il Governo di Mario Draghi, quello con dentro tutti (compreso chi, per una mera convenienza di posizionamento, recita la parte di chi sta fuori), il loro potere è stato decisamente ridimensionato, anzi… non contano più nulla.
A decidere sulle questioni chiave è il Presidente del Consiglio, affiancato dai suoi uomini di fiducia e dai ministri tecnici che ha scelto per cercare di portare il Paese fuori dalla crisi post-pandemica: alla somma di opposti che secondo un sondaggio di YouTrend commissionato da Agi rappresenta il 74,9% dell’elettorato, restano le poche briciole concesse dal grande timoniere. In fondo, l’ex Presidente della BCE ha ricevuto da Sergio Mattarella un mandato abbastanza chiaro: spendere bene i soldi del PNRR su cui un po’ tutti vorrebbero mettere le mani e nel frattempo accompagnare la legislatura più ingovernabile di sempre a impietosa conclusione. Una legislatura nata con l’exploit e la successiva caduta del Movimento 5 Stelle (32% alle politiche del 2018, 17% alle europee del 2019, 16% nei sondaggi di questi giorni) e condizionata dalle spericolate manovre dei due Mattei: il primo, nel pieno della sua popolarità, ha cercato da una spiaggia della Riviera Romagnola di ottenere “pieni poteri”; il secondo, ormai da tempo popolare come un riccio di mare in un costume da bagno da uomo (modello slip), ha cercato di riacquistare consensi mandando a casa il Governo Conte II e intestandosi l’arrivo di Draghi il “salvatore”, forte dello sproporzionato peso nel Palazzo del suo partito di eletti fuoriusciti (28 deputati, 17 senatori, meno del 2% nel Paese…). Entrambi non hanno ottenuto i risultati sperati e oggi sono quelli che più si spendono per mettere “bandierine” sull’operato del Governo.
E se Italia Viva tocca punte di assoluta comicità, arrivando quasi ad intestarsi l’abolizione della pena di morte in Virginia e vantando il suo “voto decisivo” su ogni provvedimento dell’esecutivo, la situazione in casa Lega è decisamente più complessa: il “capitano” non riesce a invertire il costante calo di consensi e soffre la costante ascesa di Giorgia Meloni come il conducente di una vecchia Panda del 1993 che marcia sulla corsia di sorpasso dell’Autostrada del Sole e scorge dallo specchietto retrovisore i lampeggi degli abbaglianti di una Porsche Cayenne Turbo. Dalla paura del sorpasso nasce una comunicazione sempre più delirante, in netta contraddizione con la condotta nelle sedi istituzionali. Emblematici gli ultimi due episodi: da una parte la richiesta di dimissioni del Ministro della Salute, Roberto Speranza, con annessa guerra al coprifuoco con tanto di raccolta di firme e opinioni di luminari della scienza del calibro di Lino Banfi e Jerry Calà, dall’altra i voti in aula contro le mozioni presentate da Fratelli d’Italia per sfiduciare Roberto Speranza e abolire il coprifuoco.
Più mansueti democratici e grillini, in questi giorni troppo impegnati a cercare convergenze per evitare di perdere male le prossime elezioni amministrative. La linea più o meno concordata dei giallo-rosa sembra essere quella di allearsi dove possibile e dove non vi sono gli estremi pianificare possibili convergenze su candidati più o meno concordati al secondo turno. La piazza più complicata è quella di Roma, dove Virginia Raggi non ne vuol sentire di togliere il disturbo (in primis ai poveri romani) e preferisce l’umiliazione delle urne a quella di gettare la spugna. E mentre Giuseppe Conte cerca tra mille difficoltà di rimettere insieme i cocci di quello che fu il Movimento 5 Stelle per dar vita a una specie di Democrazia Cristiana laica, il mite Enrico Letta ha poco più di un anno di tempo per liberare il Pd dai reduci del renzismo rimasti lì a far la guardia e a rendere la vita impossibile a tutti i successori di Matteo. Una partita complicata quella dell’ex premier che fu mandato a casa con uno “#staisereno” e che oggi si trova a guidare un partito dove il potere è ancora in mano agli eletti usciti da delle liste compilate “col favore delle tenebre” da quello che oggi è il capo di un altro partito. Scene paradossali di un tempo strano in cui i partiti non contano più nulla.
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