Partiti e politici
Civati stecca sui referendum, ma la raccolta andrà ancora avanti
Il primo passaggio è andato maluccio, c’è poco da fare. Lo stesso Pippo Civati l’ha ammesso con un post sul suo blog ottimisticamente intitolato «Renzi l’ha scampata (ma per poco)». Insomma, oggi pomeriggio (mercoledì 30 settembre 2015) Possibile non andrà in Cassazione a consegnare le firme degli otto referendum su legge elettorale, jobs act, trivelle, grandi opere e scuola. «Troppi moduli sono ancora nei comuni in cui sono stati riempiti, e troppi altri sono ancora in viaggio», questa l’ammissione di Pippo il leader.
La battaglia però non è finita: nel weekend i possibilisti (chiamiamoli così) torneranno in piazza, ufficialmente per ringraziare chi ha comunque firmato, in verità perché la raccolta non è finita. Pare si andrà avanti almeno fino a metà ottobre, poi, in caso, si tornerebbe in Cassazione, ma la data del referendum slitterebbe di un anno, andando a ridosso del 2018. Tattica? Non si sa, difficile leggere i referendum come qualcosa di diverso rispetto a una mossa politica, anzi «squisitamente politica» come si diceva una volta. Nel senso: più che i temi in sé e per sé, la cosa importante era raccogliere cinquecentomila persone disposte a firmare contro il governo. E non è un caso che, per esempio, la campagna sia stata fatta a colpi di slogan tipo «fermiamo le trivelle renziane». In pratica, l’obiettivo era dimostrare che alla sinistra del Pd c’è una vasta platea che ce l’ha con Renzi. Missione fallita, in questo senso.
Civati prova comunque ad evocare l’anima (lo spettro?) della sinistra: «Poiché sappiamo che il risultato spesso sta nel percorso e non nell’obbiettivo, non dobbiamo assolutamente farci prendere dallo sconforto per un risultato che era, per motivi oggettivi e scarsa collaborazione intorno a noi, possibile ma complicato da raggiungere. Dobbiamo invece fissare nelle nostre menti i volti delle centinaia di migliaia di persone che sono venute a firmare. Perché le rivedremo tutte nella prossima battaglia». Dura la vita fuori dal Pd, verrebbe da dire. Al confronto, la malandata minoranza interna di Bersani e Gotor sembra scoppiare di salute.
La verità è che Possibile è in mezzo a un mare di guai: per ora i sondaggisti non si esprimono sulle eventuali percentuali dei civatiani, e l’exploit di Luca Pastorino in Liguria alle scorse regionali appare come un lontano ricordo. Di più: dai vertici stanno arrivano segnali ai territori in cui si parla di evitare accordi con il Pd alle elezioni amministrative dell’anno prossimo. La situazione è complicata: in diverse città più o meno importanti il Pd non è del tutto un feudo renziano, anzi, spesso e volentieri la vecchia ditta detiene ancora il controllo della maggioranza del partito. Nichi Vendola, qualche tempo fa, l’ha detto esplicitamente che le situazioni locali sarebbero da valutare caso per caso. Possibile, per ora, è alla ricerca di una propria identità autonoma, e di entrare in ipotetici schieramenti di centrosinistra parrebbe non averne voglia. Il rischio fondato sarà quello di raccogliere percentuali da prefisso telefonico o poco più.
Comunque, la raccolta di firme per i referendum, si diceva, andrà avanti ancora per un po’, e non si capisce bene se ci sia o meno la possibilità di un lieto fine per questa battaglia. La forbice dei dati sulla raccolta è ampissima: c’è chi parla di meno di 300mila firme e chi parla di 500mila adesioni sfiorate. Si vedrà. La cosa certa è che adesso le grancasse renziane suonano fortissime, già l’Unità ha cominciato a sbertucciare gli ex compagni civatiani ed è probabile che nei prossimi giorni i giornali torneranno a occuparsi di Civati. Non per le sue iniziative (sostanzialmente ignorate), ma per i suoi insuccessi.
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