Partiti e politici
Cinque Stelle: fine della corsa. Spappolati
Sono finiti, spappolati, ridotti in macerie.
Si è inteso che la demagogia produca solo distruzione: hanno invaso Facebook con soliloqui sgrammaticati, dicendo cose scontate che facevano l’eco di richieste populiste impossibili da attuarsi. Quando erano al governo per decidere, per edificare quello che avevano inesorabilmente buttato giù come i barbari, si sono visti perduti, incapaci, incompetenti.
È facile disprezzare, criticare, annientare. Quando si è chiamati a costruire, a mantenere un governo, a dargli credibilità per provvedimenti adottati con un consenso necessario ove sia indispensabile anche l’arte sopraffina della mediazione, emerge l’uomo di Stato, l’ultimo decisore.
E quello stesso popolo che li aveva osannati su Facebook che aveva atteso il cambiamento rivoluzionario, ora gli ha voltato le spalle, perché si è reso conto che i parlamentari 5 Stelle non studiano, non sanno nulla di storia patria, aborriscono il principio di competenza. Ha ragione Vittorio Sgarbi a citare Benedetto Croce: l’onestà non basta, ci vuole competenza.
Hanno tentato di sostituire la democrazia parlamentare con la bufala di “Rousseau”, che è cosa seria con la teoria della “volontà generale” che il buon Casaleggio ignora.
Ed occupano il potere, godono dei benefici, dei lauti stipendi che si sogneranno quando si andrà al voto prossimamente, perché scenderanno dal cavallo. Ronzini.
Hanno dato prova di essere abili trasformisti, dorotei di razza, camaleonti, capaci di sposarsi con la Lega, con il Partito Democratico, perché non vogliono lasciare la cadrega (“Movimento cinque sedie” ha scritto Marco Travaglio), non perché tengono all’Italia.
Non sanno nulla di politica: quando li senti parlare, dicono cose di un’ovvietà spaventosa da far sorridere il compianto Max Catalano, amico di Arbore in “Quelli della Notte”.
Hanno anche la spudoratezza di occupare posti di potere solo per apparire, per stare sulla scena, per ottenere visualizzazioni e parlarsi addosso, senza fornire a chi li ascolta alcun contributo innovativo.
Ora si aggrappano a Draghi, che li ha accontentati con il famoso ministero della Transizione ecologica che è retto da un renziano (ossimoro impenitente).
Ma i peones vogliono ritornare alle origini, alla demagogia pura, all’opposizione inconsistente su Facebook. Crimi, come un boia da ghigliottina, annuncia l’espulsione di 16 senatori e 21 deputati, altro che dissenso e democrazia!
(Dove andranno? Cosa faranno?) “Il Manifesto“, con scintillante ironia, titola venerdì 19 febbraio: “Stelle filanti”.
Non sapendo far nulla nella vita, già brigano per le prossime elezioni. I peones, che non hanno posti di ministeri e sottosegretari e sono semplici parlamentari, già sanno che al prossimo giro non saliranno sulla giostra. E continuano a fare del populismo becero.
È finita. Rassegnatevi.
“Il trionfo delle demagogia è momentaneo, ma le rovine sono eterne” (Charles Peguy).
Applausi. The end ha scritto Marco Travaglio.
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