Partiti e politici
Ci aspettano altre lacrime e sangue, ma a combattere in Europa mandiamo Vannacci
La settimana del 25 Aprile si è aperta con le censure della Rai, e si è chiusa con l’ufficializzazione della discesa nell’agone elettorale del Generale Vannacci. Perfino più del solito, colpa e merito della Festa della Liberazione e della campagna elettorale per le Elezioni Europee del prossimo 9 Giugno, le polemiche identitarie e valoriali hanno così segnato la settimana politica, e non ci sono ragioni per pensare che nel prossimo futuro andrà molto diversamente. Eppure, senza dimenticare che le parole sono importanti, dovremmo dare attenzione al fatto che anche i numeri vorrebbero la loro parte, tanto più in un paese caratterizzato dalla crescita sempre piccola, e dal debito pubblico sempre grande. Proprio nel mezzo della settimana che si chiude, il parlamento europeo ha approvato una modifica del Patto di Stabilità che riguarda da vicino la vita dei paesi europei, e di quelli con conti traballanti in particolare: ecco noi, per esempio, in cima alla lista.
Lo scorso martedì, il 23 Aprile, l’assemblea parlamentare dell’Unione – quella stesso nel quale Salvini vuole mandare Vannacci, al quale fortunatamente nessuno ha ancora chiesto cosa pensa dei conti pubblici italiani – ha approvato modifiche al Patto di Stabilità delle quali, in sede europea, si discuteva fattivamente da mesi, se non da anni. Il voto parlamentare serviva a ratificare nel massimo organo democratico, che sarà rinnovato col voto del prossimo Giugno, le decisioni che erano già state prese e votate dagoverni e in particolare dai ministri dell’Economia. Il rappresentante del governo italiano, Giancarlo Giorgetti, aveva votato a favore delle modifiche, e quel voto era evidentemente e ovviamente espresso in accordo con la Presidente del Consiglio e con l’intera maggioranza. Tra i vari cambiamenti che sono apportati alle regole di stabilità economico-finanziaria dei paesi membri, il principale è l’obbligo di rientro in certi parametri di deficit entro 4 o 7 anni (qualora si calendarizzino riforme e investimenti) per i paesi le cui finanze pubbliche risultino particolarmente sofferenti. Come l’Italia, per l’appunto. Per i paesi come il nostro, il cui rapporto debito/pil è superiore al 90% (siamo circa al 137%), è inoltre previsto un risanamento di un punto percentuale l’anno. Si tratta di tagli o maggiori tasse ampiamente superiori ai 10 miliardi l’anno, probabilmente di pocdo inferiori ai 15: una cura da cavallo, l’ennesima. In realtà, i parmateri votati a Strasburgo pochi giorni fa sono sì rigorosi, ma lo sono in buona parte meno di quelli che in teoria vigevano fino ad oggi. Solo che, fino ad oggi, non sono mai stati applicati e non sono mai state formalizzate procedure di infrazione nei nostri confronti. La premesse politica di queste modifiche sarebbe, invece, che a fronte di un allentamento dei paramentri ci sarà poi un’effettivva azione di controllo e sanzionatoria. A farsene entusiasti garanti saranno, ovviamente, i cosidetti “frugali”, i paesi del Nord capeggiati dalla Francia, e quel Viktor Orban che pare tra i pochi ad avere una sua precisa – per quanto spiacevole – idea di società e di idea di Europa. Insomma, dopo il voto delle Europee, in vista del quale ogni decisione di politica economica e fiscale realistica è stata congelata dalla maggioranza e dal Governo Meloni per evitare di pagare dazio nelle urne, inizierà davvero il percorso di avvicinamento alla Manovra 2025, con nuovi vincoli e nuove tensioni. Proprio in chiave elettorale e propagandistica va letta la decisione sostanzialmente unanime di tutti i partiti – da FdI al Pd – di astenersi in sede di approvazione al Parlamento Europeo. Unica eccezione, il Movimento 5 Stelle, che ha addirittura votato contro. Ovviamente, non è illegittimo discutere seriamente in Europa di vincoli di bilancio e modello di rigore, ma fa una certa impressione che, dopo aver votato a favore in tutte le sedi governative, i partiti votino no in parlamento, quando è irrilevante, sperando così di poter dire agli elettori che loro non piegano la testa ai cattivoni del Nord. Mah. Peraltro, un’occasione per bloccare la macchina ancora ci sarebbe, ed è il voto dei ministri dell’agricoltura che, per dare il via libera alle modifiche, dev’essere unanimemente positivo. Cosà farà Lollobrigida, marito di Arianna e cognato di Giorgia?
Per un paese che cresce poco da anni, se non per il peso del proprio indebitamento, sarebbe opportuno parlare molto di questo, far capire alla società di cosa parliamo, e avere classi dirigenti che si interrogano su questioni importanti – la demografia, l’industria, i flussi migratori, gli investimenti pubblici, il fisco, il rapporto con l’Unione – tutte decisive nella costruzione di un’economia funzionante, quindi di una finanza pubblica sostenibile. Ma, si sa, parliamo di cose noiose, che non portano voti nel breve e forse neanche nel lungo, e siccome il breve è l’unica cosa che esiste, allora è del breve che ci si occupa. Ad esempio – è la notizia di questi giorni – candidando a parlamentare europeo il Generale Vannacci. Lo fa Salvini, piazzandolo capolista nel centro-Italia e candidandolo in tutte le altre circoscrizioni, tra i mugugniii dei vecchi leghisti che, più o meno in coro, dicono che si sarebbe dovuto puntare su altri cavalli. Soprattutto dopo un’intervista – rilasciata alla Stampa – nella quale il Generale svela un po’ tutti i suoi somari di battaglia: dalla colpevolizzazione delle donne che abortiscono alla necessità di tenere ben separati gli studenti disabili da quelli “che possono correre”; dal pregevole rifiuto dell’antifascismo perchè a lui non piace dirsi “anti”, al solito racconto improbabile di un’Italia messa a ferro e fuoco dall’immigrazione. Un racconto di un paese che non esiste, che continua ad avere qualche presa proprio dove di immigrati non ce ne sono, di antifascisti neanche (mentre fascisti qualcuno ce n’è), e di bambini non ne nascono più non a causa degli aborti, ma a causa del costante calo di gravidanze e di donne in età fertile. In nome della lotta al politicamente corretto, un leader alla canna del gas che guida un partito nato in nome del paese reale, candida dunque un generale dell’esercito che parla di cose che sostanzialmente non esistono, mentre delle cose importanti non parla nessuno. Non ce ne voglia Vannacci se citiamo la sua opera prima, e purtroppo non ultima: è proprio il mondo al contrario.
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