Partiti e politici

Chicco Testa ministro? Così Renzi ammette di non avere una classe dirigente

30 Aprile 2016

Insomma, parrebbe proprio fatta. Per il dopo Federica Guidi, al Ministero dello Sviluppo Economico, salvo sorprese dovrebbe arrivare Chicco Testa. Il suo nome è di quelli che, battendo la scena pubblica italiana da quasi quarant’anni, evocano in ciascuno ricordi, suggestioni, impressioni, giudizi e pregiudizi. Inizia neanche trentenne la sua carriera come segretario e poi presidente di Legambiente, noto per aver guidato la campagna contro il nucleare ai tempi del primo referendum, deputato del Pci e del Pds, dirigente d’azienda e consulente di grandi firme internazionali come Rotschild, ai vertici di uno snodo di interessi e poteri romanissimi come Acea, quarantenne stava nella zona che congiunge le partecipate della capitale e l’alta burocrazia del Cnel, sul finire del primo decennio del nuovo millennio torna sui suoi passi e diventa invece capofila di chi, ormai tardivamente, vuole riportare il nucleare in Italia. Poi arriva Fukushima, e sappiamo come va a finire. Nei decenni Testa scrive, diventa uno dei protagonisti delle relazioni e dei salotti di Roma, parla con le capitali della finanza internazionale, e con tanti giornalisti. Testa ci sa fare, e su questo bisogna mettersi l’anima in pace: è persona capace di instaurare relazioni e di far circolare capacità, se no non staremmo parlando della carriera che qui abbiamo grossolanamente declinato.

Una carriera che ora lo vede a capo di Assoelettrica, la branca confindustriale che raccoglie tra gli associati Eni, Enel, Edison, A2a, Acea: ancora una volta in un punto di incrocio decisivo di rapporti tra industria, politica e finanza. Che servano capacità, un sistema di relazioni oliato, una conoscenza della pancia di Roma e dei sistemi contabili di Milano, insomma, non ci piove. Si può dire che, dopo il brutto finale di partita di Federica Guidi e del suo compagno, dopo le intercettazioni che abbiamo letto e la strana sensazione che interessi di pochi o pochissimi fossero oggetto di pressioni opache, Matteo Renzi, puntando su Testa, ha deciso di mettere al ministero chi, per posizione, rappresenta tutti i principali interessi del comparto energetico, e le relazioni che ivi soggiacciono. Compensazione prudente o conflitto elevato all’ennesima potenza? Ovviamente il confine è labile, e fragile, come fragile è il confine tra provocazione e paradosso quando sulla home page di Assoelettrica appare un evidente link al blog dell’istituto Bruno Leoni, think tank liberista che asserisce la necessità di superare drasticamente ogni politica industriale e lo stesso concetto di politica industriale, appannaggio principale – che ironia – del ministero dello Sviluppo cui sarebbe destinato, appunto, Chicco Testa.

Ma qui il punto che preme è un altro, ed è perfino più radicale e problematico di quello ora tratteggiato. Dopo aver puntato sulla Guidi e sulla Boschi, dopo aver lavorato (lavorìo tutt’ora in corso) per affidare aspetti delicati della nostra sicurezza nazionale ad alcuni suoi amici personali, come Marco Carrai, Matteo Renzi, per il nodo nevralgico del ministero dello Sviluppo Economico non se l’è sentita di rischiare un nome che risponda a caratteristiche della nuova classe dirigente, del nuovo partito, della nuova leadership. O non l’ha trovato, che è poi la stessa cosa. Piano piano, insomma, il processo di normalizzazione del renzismo si consolida, e troverà in questa nomina – se confermata – un passaggio significativo in più. Tanto ci eravamo stancati del vecchiume di prima, di quel rito paludato e relazionale che non si confrontava mai col consenso, di quella lingua del Novecento che ormai sapeva di bianco e nero, di quella Roma che sopravvive sempre a se stessa, da non considerare uno degli esiti possibili: una prima fila di quarantenni fiorentini, con qualche fuga in avanti dalle parti di Arezzo, un pugno di ex comunisti ed ex democristiani perplessi, e qualche boiardo ultrasessantenne che ci spiega che è sempre stato riformista, e quindi è coerente stando dalla parte del cambiamento.

E così, il Novecento che era uscito dalla finestra, rientra dalla porta: e da quella principale.

 

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