Partiti e politici
Chi ruba nei supermercati e chi li ha costruiti rubando
A Roma non è facile mangiare degli spaghetti alle vongole davvero buoni, eppure c’è uno storico ristorante, nel quartiere Prati, dove la qualità del mollusco è eccellente, così come la cottura, un’operazione tutt’altro che semplice se fatta come si deve. Il proprietario ha ereditato l’attività dal padre e la gestisce insieme ai figli. Su una parete campeggia la foto del genitore ormai scomparso in posa insieme a del pesce di prima scelta, su un’altra un antico scatto in bianco e nero mostra l’esterno del locale nel dopoguerra: poco è cambiato rispetto a come appare oggi. Il locale resiste al tempo e alle trasformazioni del quartiere, un invecchiato salotto della Capitale ormai quasi disabitato, dove da tempo studi medici, di avvocati, notai e bed and breakfast più o meno regolari hanno preso il posto delle famiglie dell’alta borghesia capitolina con qualche eccezione ben rappresentata da un ex Presidente del Consiglio con i baffi che porta a spasso il cane nei pressi di Piazza Mazzini e qualche personaggio del mondo dell’arte e dello spettacolo come Francesco De Gregori, che si incontra spesso tra i palazzi in stile Umbertino.
Eravamo proprio ieri a un tavolino di quel ristorante; dopo un aperitivo a base di gustose tartine di pesce, lo “spaghetto a vongole”, come diciamo noi napoletani, non poteva mancare. Ad accoglierci il titolare, gran lavoratore, molto simpatico che ama parlare e scherzare con i clienti mentre serve la cena. Talvolta si confronta su temi di attualità ed espone il suo punto di vista senza peli sulla lingua, mantenendo sempre un profondo rispetto non di maniera verso gli interlocutori, che ascolta interessato. All’ennesimo venditore di rose e di accendini pressante al tavolo, la discussione non poteva che cadere su immigrati ed extra-comunitari: «Io non sono assolutamente razzista – esordisce – ma la situazione non è più gestibile. Fosse per me li assumerei tutti a lavorare, ma molti non hanno neanche il permesso di soggiorno e con le migliaia di euro di multa che ho dovuto pagare perché i tavolini sporgevano di qualche centimetro oltre il limite, figuriamoci se mi sogno di prendere dipendenti irregolari. Ripeto, non sono razzista, anzi sì lo sono, ma solo con un popolo, solo con una razza». Ci pensa un po’ su, non sa se proseguire, interpreta il mio silenzio con un mio assenso, forse, così prende coraggio: «Ci sono i bambini rom che rubano sull’autobus e non possono neanche essere denunciati perché non hanno neanche i documenti di identità, provi a inseguirli ma dopo un po’ si dileguano, nei campi la polizia neanche c’entra». Lo ascolto annuendo: lo stato in cui versano Rom, Sinti e Caminanti a Roma è drammatico ormai da molti anni, aggravato dalla repressione di facciata messa in pratica dalla giunta guidata da Gianni Alemanno, che diminuendo loro gli spazi concessi ha favorito la formazione degli attuali campi, enormi favelas maleodoranti dove i bambini giocano semi nudi e a piedi scalzi tra baracche e scarichi fognari a cielo aperto. Luoghi esplosivi in cui regnano il caos, la ricettazione e le faide tra gruppi diversi costretti forzatamente a convivere. «Spesso – spiego – quelli che commettono più reati sono di nazionalità italiana (quindi sono già “a casa loro”, non vanno aiutati altrove), oppure sono cittadini comunitari come lovari, khorakhana, kanjarja e altre tribù che provengono principalmente da Ungheria, Romania ed ex Jugoslavia. Pochi sono i Sinti, pochissimi i nomadi, la maggior parte delle tribù Rom che abbiamo in Italia sono stanziali. Purtroppo la situazione è degenerata proprio perché si è pensato che la scelta migliore fosse cacciarli per placare sete di sangue del popolino, invece di provare a integrarli rispettando le loro differenze e spiegando che quella era la strada giusta, che la povertà e il disagio non dipendono da chi sta messo peggio, anche se è facile additare il più debole. Nei primi anni del duemila, quelli che chiamiamo “zingari” avevano iniziato a mandare i loro figli a scuola, poi sono stati trattati da invasori e i bambini sono tornati a rubare nelle stazioni delle metropolitane o sugli autobus più affollati».
L’uomo fa sì con la testa, ma non è troppo convinto: «Però qualcosa bisognerà pur fare, non possono continuare così», mi dice. «Certamente – rispondo – bisognerebbe mettere in campo i mediatori culturali più che cercare un’inutile repressione. Ora però dimmi una cosa: come mai tu paghi migliaia di euro di multa e tutti gli altri ristoranti su questa via occupano quasi tutto il marciapiede fregandosene delle regole?». Il ristoratore mi guarda e il suo volto si colora leggermente di rosso, accenna un movimento con le braccia, quasi a spalancarle, e mi dice con voce rassegnata: «Io non voglio parlare degli altri, qui io pago tutto, resisto e pago pure le multe, loro non lo so, non lo voglio neanche sapere». Parole sincere che tradiscono una rabbia celata, ma anche una rara correttezza. Sarebbe stato facile rispondere “pagano le mazzette a chi dovrebbe controllarli”, ma non lo ha fatto. «Da voi si mangiano i migliori spaghetti alle vongole di Roma, parola di napoletano – gli dico cambiando tono e quasi discorso – e se tutti fossero come voi vivremmo in un paese migliore, perché uno zingarello può rubare un portafoglio, un ristoratore disonesto anche migliaia di euro a settimana». Lui sorride e aggiunge: «Come quel politico che dice che i migranti sono tutti delinquenti e poi prende i soldi dall’imprenditore chiacchierato…». «Proprio come lui», sorrido. Tornando al suo lavoro dopo la breve pausa, si congeda con un’ultima domanda: «Com’era quella canzone del cantante che abita qui intorno su quelli che rubano nei supermercati?». Gli rispondo alzando un po’ la voce, perché ormai è arrivato quasi in cucina: «Che ci sono quelli che i supermercati li hanno costruiti… Rubando».
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