Partiti e politici
“Chi mi ama mi voti”: alle radici della politica pop, tra marketing e religione
Da Oliviero Toscani a Mychajlo Podoljak consigliere personale del Presidente ucraino Zelens’kyj, passando per Berlusconi, Grillo e il portavoce del Presidente della Repubblica Giovanni Grasso; questo è il sapore del libro pop Chi Mi Ama Mi voti di Domenico Petrolo e Lorenzo Incantalupo, pubblicato da Guerini e Associati, che attraverso storie, aneddoti e riflessioni prova a raccontare il marketing con gli occhi della politica e viceversa.
Un testo a suo modo divertente e spiazzante, nel quale convivono l’anima accademica con quella più di intrattenimento.
Nike, Apple e Ferrero che parlano con Trump, Giorgia Meloni e Piero Fassino, le citazioni di Tolstoj che convivono con quelle di Moana Pozzi il tutto componendo però un affresco omogeneo.
Pubblichiamo le prime pagine
“Di chi è la celebre frase Chi mi ama mi segua? Di Gesù Cristo? No
Non almeno nella forma in cui la conosciamo; infatti la citazione corretta sarebbe “Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (dal Vangelo secondo Matteo, 16, 24, CEI)
Chi mi ama mi segua è invece un famosissimo slogan pubblicitario del 1973 legato al marchio di jeans italiano Jesus che ovviamente si appropriò della citazione di Gesù Cristo, nella forma nella quale ci era stata tramandata dalla tradizione popolare, per farne il motto della sua campagna pubblicitaria.
Insomma non Gesù, ma Jesus! Chi mi ama mi segua è di fatto, uno dei primi atti di marketing politico nel nostro paese. Perchè, diciamocelo chiaro, cosa c’è di più politico della religione?
Se intendiamo la politica come da sua etimologia greca, scienza e arte di governare; cioè la pratica di direzione della vita pubblica dettando norme, principi, regole del vivere comune, la religione ha avuto e continua ad avere certamente una forte valenza politica, soprattutto in paesi come l’Italia.
Se altresì, intendiamo il marketing come tecnica di persuasione, o nella sua più nobile accezione di scienza capace di individuare, stimolare e soddisfare i bisogni dei consumatori, la religione è un esempio di marketing straordinario. Come direbbe Bruno Ballardini, Gesù lava più bianco2 e lo fa da secoli molto meglio di un qualsiasi detersivo della Procter & Gamble.
Ma torniamo a noi, la campagna in oggetto, affidata ai creativi pubblicitari Michael Goettsche e Emanuele Pirella, vedeva lo slogan Chi mi ama mi segua, accompagnare le natiche mezze nude della modella Donna Jordan, in una celebre foto di un giovane Oliviero Toscani. La comunicazione pubblicitaria giocava chiaramente con il nome della marca e l’esortazione che ne scaturiva era l’esatta rappresentazione del sacro e del profano. Insomma, siamo nel 1973 e in un paese profondamente cattolico come l’Italia mettere in primo piano il culo di una bella ragazza, incastonato in un jeans aderente per accostarlo alle parole del Vangelo secondo Matteo, è sicuramente un atto di grande rottura e di coraggio. Un atto politico in tutto e per tutto, che dava voce ai moti di emancipazione di una generazione, che, dai movimenti studenteschi in poi, cercava lo spazio per affermare nuove regole sociali e una diversa morale.
E lo faceva per reclamizzare un paio di pantaloni: un atto profano e rivoluzionario al tempo stesso. Profano perché icona del consumismo incipiente, rivoluzionario perché tentava di imporre la nuova etica dei blue jeans a una generazione che aveva ricostruito l’Italia con pantaloni di flanella e grembiuli in fustagno.
La pubblicità, forse prima di altri comprese la portata di questa nuova semantica, inglobandola in sè come atto per creare clamore e rottura, ma al contempo accogliendola, forse per la prima volta nell’establishment; un establishment certo un po’ naif e sgangherato, lontano dalle grandi corporation della creatività e del marketing di oggi, ma pur sempre un albergo a cinque stelle.
La campagna scatenò dibattito, critiche e accuse più o meno feroci. Uno degli altri slogan utilizzati si rifaceva a Dieci Comandamenti e recitava: “Non avrai alcun jeans al di fuori di me”.
Se ne occupò addirittura Pierpaolo Pasolini dalle pagine del Corriere della Sera, che partendo da un analisi semiologica della campagna fu forse uno dei pochi a coglierne subito la valenza assolutamente politica. Insomma il dado era tratto.”
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