Partiti e politici
Che cosa non dovrebbe fare il Partito Democratico
In un recente articolo pubblicato su Economia Italia, Matteo Marduca ha sostenuto che il PD dovrebbe abbandonare la deriva verso la sinistra populista di questi ultimi anni e tornare sul sentiero del riformismo, facendo appello a personalità del calibro di Bonaccini e Gori.
Pur avendo manifestato, al tempo, le mie perplessità rispetto all’alleanza organica tra Partito Democratico e Movimento 5 Stelle, non credo che la soluzione proposta da Marduca sia quella ottimale per il PD.
Questa epidemia, infatti, ha mostrato tutti i limiti non soltanto del sistema in cui viviamo, che definirò di “feticismo del mercato”, ma anche della Terza Via, il nuovo corso della sinistra post-comunista intenta a coniugare Stato e Mercato. Per qualche tempo, congiuntamente a una fase di profonda trasformazione dell’economia come quella che il mondo ha vissuto negli anni ’90 con il boom di Internet e la transizione verso il terziario e l’economia dei servizi, la Terza Via ha portato prosperità e benessere all’interno dei paesi occidentali.
Ma gli effetti di lungo periodo di quella stagione emergono con violenza in questi anni.
In primo luogo, le riforme implementate tanto dalla destra liberista negli anni ’80 e poi dalla sinistra della terza via successivamente- come privatizzazioni selvagge, deregolamentazione dei mercati finanziari, flessibilità nel mondo del lavoro- hanno portato direttamente alla crisi del 2008, la peggior crisi del mondo occidentale dopo quella del ’29.
Non solo: confrontando il periodo del consenso keynesiano, quello che va dal 1945 al 1970, si può notare come la crescita durante gli ultimi anni sia stata caratterizzata da oscillazioni più sostenute. Nella fase liberista-terza via la dispersione rispetto al trend si fa più consistente.
Sempre crescita, certo, ma più instabile.
Questo, come ho già scritto altrove, non significa che il modello keynesiano fosse esente da difetti o, addirittura, che bisognerebbe tornare indietro.
In secondo luogo: le disuguaglianze. Le disuguaglianze, in Europa, sono inferiori rispetto agli Stati Uniti. Questo è dovuto alle politiche di predistribuzione adottate dagli Stati europei. Nonostante ciò le disuguaglianze di reddito sono cresciute anche all’interno del Vecchio Continente.
Se il caso dell’Est Europa è dovuto alla transizione da economie di stampo socialista a una moderna economia di mercato, l’aumento nell’Europa atlantista è da attribuire agli effetti del cambio di passo in materia economica, seppur stemperato da un Welfare State più potente rispetto a quello americano.
Possiamo notare lo stesso fenomeno concentrandoci sull’evoluzione del reddito a livello globale. Questo è stato studiato da Milanovic e prende il nome di “Elefante“.
Durante quindi gli anni in cui la destra ha virato verso il neoliberismo e la sinistra verso la terza via, vi è stata una distribuzione non uniforme del reddito. La classe media occidentale ha visto addirittura una flessione mentre a beneficiarne è stato l’1% più ricco.
La questione delle disuguaglianze, come spiegato da Stiglitz, è strettamente collegata a quella della crescita. Poichè, come afferma Piketty, il tasso di ritorno del capitale r è maggiore rispetto al tasso di crescita economica g, le disuguaglianze portano a un irrigidimento della scala sociale. La concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi porta a istituzioni estrattive, per citare Acemoglu.
Ma concentrarsi solo sulle disuguaglianze economiche non è più abbastanza. Il mondo di oggi dà luogo a forme ben più variegate. Solo per citare un esempio: quelle territoriali. Se la migrazione dalle campagne alle città è un fenomeno cominciato con la rivoluzione industriale, con il boom tecnologico degli ultimi anni le distanze non solo tra le metropoli e gli sperduti paesini di campagna, ma anche con le periferie, si sono ampliate. Ne è un esempio la vexata quaestio della rete unica. A proposito delle disuguaglianze territoriali è emblematico notare la frammentazione elettorale. Prendiamo ad esempio le ultime regionali in Emilia Romagna (ma la situazione non cambia prendendo un’altra elezione).
Anche le zone tradizionalmente rosse della bassa modenese e reggiana e bolognese hanno visto un netto vantaggio della candidata di centrodestra.
Proprio sulla questione politica verte l’ultimo punto della Pars Destruens. In questi anni abbiamo assistito all’ascesa di partiti politici di stampo nazionalista, reazionario e populista. Questo fenomeno deriva, anche, dall’insoddisfazione della classe media, elettorato di riferimento per questi partiti, dovuta a un benessere sempre più concentrato nella mani di pochi.
Vorrei, brevemente, volgere l’attenzione per un attimo al caso italiano. Come è ben noto, la mano pubblica in Italia fino agli anni ’80 è stata particolarmente pesante. Quel modello, ridotto a uno stato comatoso, venne accantonato: fu il tempo delle privatizzazioni.
Il risultato tuttavia non è stato quello sperato: da 30 anni infatti assistiamo a una produttività stagnante. Questo è dovuto a vari fattori, di cui non parlerò qui. Tuttavia permettetemi di far notare che incolpare l’alto livello di tassazione in Italia è, perdonerete il francesismo, una cazzata. La California, pur avendo tasse più alte rispetto ad altri Stati americani, è stata la culla della Silicon Valley. Solo in una seconda fase, quando alle opportunità subentra il mero profitto, la questione tassazione diventa centrale, mostrando ancora una volta il carattere parassitario che intercorre tra Stato e Mercato.
La terza via è stata inoltre l’ideologia dietro il governo Renzi. Non credo sia necessario ribadire che il Rinascimento dell’Italia auspicato da Renzi non si è visto. Il paese è cresciuto meno rispetto ai partner europei e, a distanza di anni, ci ritroviamo con gli stessi problemi. Il governo di centro sinistra si è limitato a precarizzare ancora di più il mondo del lavoro senza aver risultati concreti nello stimolare investimenti e crescita: il nostro paese, la cui spina dorsale è formata da PMI, ha tratto ben poco dalla riforme del governo Renzi, più orientate verso le grandi aziende, come Industria 4.0 e il Jobs Act.
Prima di proposte politiche, il Partito Democratico deve ritrovare l’alleanza con gli elettori, soprattutto quelli delle classi medio-basse, i giovani, i precari, i disoccupati, coloro che in questi anni sono rimasti indietro. E non può farlo se alla guida c’è chi, come Bonaccini, denigra il Reddito di Cittadinanza, cedendo a una retorica da Margareth Thatcher sulla povertà.
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