Partiti e politici

C’è spazio per un partito del nord? Zovico: sì, inclusivo ed esigente

7 Settembre 2019

C’è lo spazio politico per un nuovo partito del nord? Con il governo giallo rosso ancora in sala parto l’idea è stata lanciata martedì 2 settembre da Filiberto Zovico in un editoriale su VeneziePost. «E prima o poi qualcuno lo farà. Non so se Maroni o Cairo, o Renzi-Calenda o Zaia. Ma è indubbio che lo spazio ci sia».

Zovico, impegnato in gioventù nelle file ella sinistra, è oggi uno dei più attenti osservatori del Nordest. Forte di esperienze in Rcs, con il Sole 24 Ore e con Marsilio, ha fondato la casa editrice Post editori e con il magazine NordestEuropa prima e i portali VeneziePost e ItalyPost più di recente, da anni cura approfondimenti sul mondo delle imprese e dei territori del Nordest. Inoltre, elabora ricerche e promuove una serie di festival e rassegne che hanno ormai seguito nazionale e internazionale. Tra le varie iniziative il Festival Città Impresa di Bergamo e Vicenza, il Galileo Festival dell’Innovazione di Padova, Trieste Next dedicato alla ricerca scientifica, il Festival della Green Economy di Trento, Open Factory e We Food.

«Dalla crisi nascerà un nuovo partito del nord?» si chiede Zovico nel suo editoriale, menzionando alcuni dei più recenti fallimenti politici che hanno caratterizzato il nord, La Lega e il Partito democratico. L’elenco è ovviamente più lungo e comprende Scelta Civica e ancora prima il Movimento del Nordest guidato da Cacciari, di cui Zovico stesso faceva parte e che ricorda come «la più grande delusione della mia vita pubblica». Per non parlare dei vari progetti autonomisti, tutti in grado di garantire ampia copertura media, qualche Tanko in piazza San Marco per incuriosire i turisti e zero fatti concreti. Intanto i paradigmi sono cambiati. Prima, grazie all’Unione Europea il mercato unico interno si è ampliato ed è diventato efficiente, offrendo ai produttori l’accesso senza dazi a oltre 500 milioni di potenziali consumatori. Poi la grande crisi ha costretto a rivedere modelli di business, ma anche modelli di organizzazione e territoriali. Le città e le aree più efficienti e aperte diventano attrattive, il resto fa da contorno, rischia di rimanere periferia permanente con il consueto corredo di luoghi comuni: arretratezza culturale, degrado, incapacità di intercettare i cambiamenti, chiusura, populismo…

«E’ una fotografia corretta a grandi linee, che restituisce il confronto tra nord e Mezzogiorno, ma applicabile facilmente per molte zone del nord rimaste spiazzate dalle nuove competenze e conoscenze necessarie per competere, Veneto in primis», spiega Zovico che abbiamo incontrato a Padova.

In questo contesto ha senso un nuovo partito del Nord, rivendicativo e come usava dire un tempo, di sindacato territoriale? Non è che si stanno guardando le fratture sbagliate?

Oggi la frattura è tra vincenti e perdenti dopo la grande crisi, questo mi sembra ormai abbastanza chiaro a tutti. I vincenti sono attrezzati culturalmente, internazionalizzati e si stanno lentamente, ma costantemente concentrando sull’asse Milano – Bologna. Dall’altra parte i perdenti diventano ancora più rancorosi e quindi uno spazio politico c’è, ma sarà di nuovo sterile. Se qualcuno fa un partito indipendentista del nord, in Veneto potrebbe ottenere anche un 5 per cento per cento, un risultato privo di significato. Il tema dell’autonomia e dell’indipendenza sembra davvero affascinare solo una parte dei veneti se è vero che anche tra gli elettori leghisti a livello nazionale, come racconta un sondaggio uscito oggi, (7 settembre ndr) solo il 27 per cento considera l’autonomia una priorità.

Ma così siamo al punto di partenza. Un movimento simile è destinato a fare la fine di tutti gli esperimenti che si succedono dall’inizio degli anni Ottanta.

Esatto, la strada non può che essere un’altra. Allora un partito che vuole fare le riforme al nord deve assumere i vincenti come base perché trainano e danno prospettiva, ma avere contemporaneamente la capacità di costruire sistemi di protezione. Deve cioè trovare il modo di dialogare con il Mezzogiorno con le sue classi dirigenti, politiche e imprenditoriali. Almeno con una parte di esse per riuscire a portarle su una prospettiva europea. Non si può certo dialogare minacciando un’improbabile secessione o, peggio, di non partecipare più alla spesa pubblica nazionale. È chiaro che quella è una strada chiusa. Perfino Salvini lo ha capito trasformando la Lega da partito del Nord a formazione populista nazionale di estrema destra. E poi bisogna fare leva sul desiderio di riscatto del Sud.

Visto da qui, il Mezzogiorno appare irrecuperabile.

Non è vero. Ci sono tantissimi esempi che dimostrano il contrario. Mi vengono in mente la prima esperienza di Bassolino che in pochi anni ha trasformato Napoli in una città pulita, vivibile e aperta al confronto con l’esterno. Un rilancio che fu possibile in occasione del G8 con un patto tra il governo centrale guidato da Berlusconi e Bassolino allora esponente dei Democratici di Sinistra. O come le azioni di Marchionne, riuscito a rendere produttivi ed efficienti gli stabilimenti del Sud con il consenso dei lavoratori, non in contrapposizione con loro. Lo stesso Nichi Vendola in Puglia ha lavorato benissimo valorizzando alcune delle eccellenze imprenditoriali del territorio tra cui il distretto aerospaziale. Potrei infine citare Matera capitale europea della cultura. Si possono prendere dei territori e farli diventare efficienti, belli, funzionanti. Bassolino, Marchionne e Vendola dicono che il Sud può riservare sorprese interessanti. Certo bisogna creare il clima perché le classi dirigenti decidano di investire nel Sud e dall’altra parte rassicurare alcuni territori, a nord ad esempio sul tema dell’immigrazione. Il tono è fondamentale e forse questo esempio lo spiega meglio di qualsiasi teoria: Zanonato vinse a Padova nel momento in cui indicò come prioritaria la costruzione del muro di via Anelli (il quartiere degli spacciatori). Cioè, un partito del Nord deve parlare un linguaggio che garantisce chi si sente meno protetto sul tema della sicurezza, costruendo città e paesi accoglienti ma sicuri al 100 per cento. Questa capacità di rassicurare è fondamentale.

Lei introduce il concetto di inclusività esigente. Non le sembra un concetto velleitario con un’opinione pubblica polarizzata e guidata più dalle immagini che dalla realtà, come ha efficacemente scritto Luigi Di Gregorio su Gli Stati Generali?

Dipende da come lo si applica. Prendiamo il reddito di cittadinanza. È giusto dare protezione e sostegno economico a chi è senza lavoro o si trova in situazioni di povertà? Certo che sì, però è necessario avere delle contromisure per evitare che il reddito di cittadinanza diventi una misura assistenzialistica ad libitum, ad esempio applicando fino in fondo il meccanismo che ti offro tre occasioni di lavoro, dopo di che se non ne accetti neppure una te lo sospendo. Lo stesso a livello macro. Va fatto un patto con le regioni del Mezzogiorno affinché queste accettino il principio federalista. Il Sud ha una dotazione infrastrutturale di gran lunga inferiore alle aree del centro nord. Bene, investiamo per recuperare il ritardo infrastrutturale, ma poi finisce qua. Io ti do le infrastrutture, ma se tu non le fai funzionare o non sei in grado di gestirle sono affari tuoi. Chiaro, è un principio che richiede una certa autorevolezza anche nella classe politica e francamente non ne vedo molta in giro, ma può essere ricercata, chissà, anche trovata.

Sulla classe politica pochi ci scommettono. Pochi giorni fa, la presidente di Confindustria Veneto Centro (Treviso e Padova), Maria Cristina Piovesana ha denunciato lo spettacolo indegno degli insulti tra gli esponenti dei partiti e affermato che bisogna ridare dignità alla politica.

È fondamentale, Piovesana ha ragione da vendere. Dico di più, bisogna tornare ai politici di professione. I quali fanno carriera perché sono bravi no perché il segretario di turno ha bisogno della corte di affidabili. Lega e Fratelli d’Italia crescono perché hanno partiti strutturati e in grado di dialogare con le contraddizioni dei territori.

Davvero il Nord e il Veneto vogliono un nuovo soggetto politico?

Sì, tutti ne sentono il bisogno. I candidati a guidare un partito del Nord che vedo potrebbero essere o Cairo, o Maroni, o Renzi-Calenda o Zaia. Io penso che qualcuno di loro potrà assumerne le redini. Difficilmente si metteranno assieme, anche perché hanno caratteristiche e linee politiche un po’ diverse. Ma che qualcuno di loro andrà ad occupare quello spazio politico mi pare scontato.

Zaia rischia di essere ricordato per il nulla cosmico che ha caratterizzato la sua giunta, ma ai veneti sembra andare bene così. Forse cittadini e soprattutto imprese del nord hanno imparato a fare a meno della politica. Anzi, meno si impiccia, meglio è.

Questo da una parte è vero, ma qual è l’offerta alternativa a Zaia?

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