Partiti e politici

C’è forse un luogo oscuro dove nacque l’idea «Matteo Renzi»?

21 Dicembre 2017

Quando parliamo del mondo renziano, dobbiamo onestamente tenere in piedi una possibilità: che tutto ciò che avviene in quello stagno politico e che a noi, gente dalla consecutio semplice semplice, apparirebbe come una rappresentazione surreale al limite dello scandalo, in realtà non sia altro che una banalissima predisposizione genetica, una umana attitudine a far così, un modo di stare al mondo come tanti altri. Che ha nella provincia il suo luogo oscuro. E che semmai proprio da quegli spalti politici si guardi a noi come traduttori insinceri di fatti che “loro” reputano normali, leciti, persino doverosi.

Esempi qui se ne potrebbero fare millanta, ma uno valga per tutti: siamo quasi convinti che Matteo Renzi dica il vero quando afferma che nulla sapeva di quella mail di «Marchino» che in maniera sciatta che più sciatta non si può scrive a Federico, l’ad di Unicredit, di muovere il sederino per Banca Etruria. E il non saperne nulla, è l’esatta dimensione di uno stare insieme molto diverso da come abbiamo sempre conosciuto e rappresentato le compagnie di giro che gravitano intorno a un leader. Non più come banali portatori d’acqua sottoposti ai ghiribizzi d’umore del capo, che in qualunque momento può sollevarti di peso se hai combinato un guaio, ma come paria che si sono formati in una provincia (toscana) che per la prima volta, in epoca moderna, prende il potere nazionale. Persone, donne e uomini, dal passato senza storia proprio perché sconosciuto, il cui intreccio dei rapporti personali nessuno ha mai potuto veramente raccontare e tantomeno spiegare.

Quanto volte ci siamo posti domande al limite del banale, quasi delle cretinerie al sol immaginare? Tipo: ma come è possibile che Matteo Renzi pensi all’amichetto che gli prestava casa per affidargli addirittura la cybersicurezza nazionale? O piuttosto: ma come è possibile che Maria Elena Boschi abbia la faccia tosta di imporsi nella compagine di governo dopo il sonoro sberlone del 4 dicembre che ha portato persino il Capo alle dimissioni da presidente del Consiglio? E per venire a noi: ma come è possibile che dopo tutto il casino che gli ha piantato con Banca Etruria, e relativo sprofondo rosso nei sondaggi, Matteo Renzi oggi risponda anche un po’ protervo che a non candidare Meb non ci pensa neppure?

Valutiamo attentamente questa nuova situazione che si è creata, perché forse non è, come molti credono, l’inevitabile difesa del fortino assediato, il muoia Sansone con tutti i filistei. Non è neppure la rappresentazione di un un Capo e i suoi derivati. È piuttosto un mondo più intrecciato, tra sentimenti antichi, vecchie amicizie, triangolazioni, innesti, che porterebbero a sospettare di quella logica facile secondo cui a Matteo Renzi un bel giorno è stato consegnato lo scettro del leader perché era decisamente il più autorevole e talentuoso. Il che, per quanto riguarda l’azione politica, potrebbe tranquillamente essere. Più in profondità, egli venne scelto dagli altri come colui che avrebbe dovuto rappresentarli nella conquista del Potere, un patto tra contraenti tutti di prima fascia che identificarono il caro Matteo come la persona “migliore” per gestire quel progetto collettivo che dalla provincia doveva portare tutti a Roma (per affari o per politica).

Ed è esattamente per questo che tutti quelli che si affidano alla logica del buon tempo andato, alle visioni minimamente ragionevoli, alla buona educazione, ma anche ai parametri politici che abbiamo conosciuto negli anni, oggi restano basiti di fronte a un modo di procedere completamente privo di riscontri, senza veri precedenti, in un certo senso pienamente «originale» e apparentemente folle.

Volendo essere completamente maliziosi, si potrebbe concludere che il destino di Matteo Renzi non dipende più né da sé stesso né dagli elettori, ma da quegli amici che sin qui lo hanno portato. E forse creato.

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