Partiti e politici
Casini anni 70, Casini oggi, e il fortino della politica
“Ai tempi della mia generazione chi non era nei Palazzi, sparava”. Casini la tocca piano, come si dice, nell’intervista a Repubblica, il giorno dopo la sua mancata salita al colle, coronamento mancato per un pelo di una vita politica di cui ci ha voluto mostrare una foto di epoca, su Instagram, in un suo intervento in uno dei Palazzi.
La frase desta sorpresa nella forma, perché la sua brutale superficialità risalta in un’intervista pervasa di manierismo moroteo fatto di profferte stucchevoli di amicizia e amore verso tutti. Tutti, meno chi non era nei “Palazzi” ai tempi della sua generazione, ovviamente. E siamo in molti, quelli che un politico di lungo corso dai modi democristiani garbati può offendere con una battuta da bar, senza che gliene venga alcun danno. Siamo tutta la società civile che allora era in piazza, meno i terroristi di allora, che erano in altri Palazzi chiamati “covi”.
Nella sostanza, la sorpresa è solo apparente. Se non sei stato eletto al colle, che c’entra rivangare gli anni 70? C’entra, perché è un modo di datare l’inizio della fine della politica in Italia. Per Casini ovviamente si tratta della fine della supremazia della politica, perché per lui la politica è viva e ha lottato insieme a lui nella battaglia sul colle. Per me si tratta della fine della politica in sé, e il motivo sta proprio nel fatto che la generazione di Casini ha vissuto esclusivamente nei Palazzi.
La posizione di Casini non è unica, e non è limitata alla sua matrice politica democristiana. Qualche anno fa, nel marzo del 2011, la stessa osservazione mi venne rivolta, in una polemica sulla Repubblica di Firenze, da un esponente politico della sinistra, che mi scriveva: “Caro professor Cherubini, su Repubblica di ieri scrivi che nel ‘ 77 i ragazzi della Fgci avevano poltrone e se ne stavano chiusi nelle sezioni. In quegli anni però i cortei spesso non venivano autorizzati (dalle questure, non dalla Fgci) perché qualche allegro buontempone ci andava con la pistola e talvolta la usava, col consenso malcelato dei più.”
La mia tesi era che la grande maggioranza di quelli che nel 77 erano in piazza sono diventati società civile, e hanno dovuto competere e lavorare duro per trovarsi un posto, mentre chi aveva vissuto all’ombra del partito aveva avuto una carriera inquadrata e tranquilla, da una poltrona all’altra. E a stare troppo in poltrona ci si rattrappisce. E lui mi rispondeva: “Uno dei luoghi comuni più sbagliati di questa ‘narrazione’ è l’apologia che tu proponi in forma purissima della competizione libera e selvaggia nella società civile. Giù la maschera. La politica è brutta per il contrario. E’ oggi il luogo della competizione selvaggia… “
La fonte di questa “competizione selvaggia”, che il mio critico definiva tale perché minacciava lui, era Renzi, e il renzismo è stato un equivoco che ha coinvolto molti, compreso il sottoscritto. Abbiamo scambiato per rinascita della politica una lotta per il ricambio generazionale all’interno di un partito. La “rottamazione” non veniva da sanculotti della società civile, ma dall’interno della classe politica. Oggi il risultato di quella operazione sono quarantenni che non perdono occasione per ricordare i loro tentativi di cambiare l’Italia con la stessa ossessione con cui i vecchi ci hanno raccontato del loro tempo che fu. E a nessuno di loro che venga mai in mente di uscire dal fortino della politica e fare altro.
Oggi il contributo che viene dalla società civile ha un nome nuovo: i tecnici. E il virgolettato di Casini che contrappone chi stava nei Palazzi e chi sparava viene completato arrivando a loro. Conclude Casini: “E abbiamo visto quando la politica viene rimpiazzata cosa succede: è successo con la supplenza giudiziaria e, di recente, con poteri esterni.”
Sul fronte giudiziario ricordiamo le posizioni di Casini a proposito dei procedimenti giudiziari di Salvini, ammonendo che “in futuro potrebbe capitare a tutti”, e si riferiva ai politici. Ma quello che colpisce è il riferimento ai “poteri esterni”. E qui Casini si schiera con D’Alema, con esponenti del massimalismo cattolico come Tomaso Montanari, e pare con gran parte della classe politica che a Roma è passata alle postazioni di votazione del Presidente della Repubblica, e che si è divisa su Mario Draghi. Tutti arroccati nel fortino della politica. Guardando tutti, anche i più progressisti, con sospetto Mario Draghi, perché banchiere, ignorando che l’avversione ai banchieri centrali fu una delle principali caratteristiche ideologiche di quella destra americana che Ronald Reagan portò alla Casa Bianca.
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