Partiti e politici
Caro Renzi, sono un vecchio amico e ti invito a tornare il ribelle che eri
“Caro amico ti scrivo, così mi distraggo un po’”, cantava Lucio Dalla nel 1979. Allora anch’io voglio scrivere al segretario del Partito Democratico ma non per distrarmi un po’, quanto per mettere in fila qualche pensiero. Lui è tornato a parlare nell’intervista concessa ieri a La Repubblica, affermando “uso gli occhi e le orecchie più che la bocca”, e allora perché non dargli qualcosa da leggere? Nella sconfitta al referendum costituzionale afferma che ci si doveva mettere più cuore, più valori, più ideali, insomma cose che in molti andavano ricordando da tempo ma di cui nessuno nel partito se ne è occupato. Renzi dice che ora si dovrà lanciare una nuova classe dirigente, dice che si dovrà scrivere un nuovo programma e che vorrà farlo in modo originale, dice che si dovranno liberare le persone dai vincoli delle correnti, dice che impostare nuove idee su amministratori vecchi è sbagliato perché soprattutto il sud non lo si può cambiare poggiandosi sul notabilato locale.
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Ma Renzi, segretario del Partito Democratico, saprà davvero ascoltare e fare tesoro di quanti gli stanno parlano e gli parleranno? Le critiche in questi anni di governo non gli sono arrivate soltanto dai suoi avversari, interni o esterni, anche molti di quanti lo hanno sostenuto e lo sostengono hanno spesso espresso delle riserve su alcune sue scelte, soprattutto riguardanti il partito. Lui dice che allora era il momento di correre e non ha avuto tempo per ascoltare, ora dice che dopo essersi fermato quel tempo lo ha, ma io vorrei essere pignolo: il problema non era il dover correre, il problema è stato che a un certo punto dalla corsa è passato alla frenesia. Correre implica ragionare, avere ritmo, coordinare movimento e respirazione, mantenere la concentrazione, mentre la frenesia è uno stato di eccitazione continua, una voglia smaniosa che a volte diventa irragionevole e sfocia in vaneggiamento fantastico. Ecco, quando Renzi dice che l’ottimismo serviva per dare l’idea della svolta dovrebbe capire che ne ha somministrato al Paese una dose forse troppo massiccia, col risultato di farlo apparire smanioso, irrealistico, frenetico. Non era più quello che correva sull’onda delle 100 proposte elaborate nella Leopolda del 2011, era diventato quello frenetico che metteva la sua faccia ovunque e su tutto.
Se si vuole dare una svolta al partito forse si potrebbe partire da li, da quelle idee elaborate nel 2011 che hanno contribuito a creare il crescente apprezzamento che l’ha portato alla segreteria del partito. Una legge chiara sul conflitto di interessi che possa intervenire a monte del problema, la privatizzazione della Rai, la creazione di un fondo nazionale per finanziare meglio la ricerca, la riforma del sistema fiscale, la lotta contro il lavoro nero, l’introduzione di un nuovo welfare che sostenga il crescente numero di poveri, e poi colpire e ridurre gli sprechi di denaro pubblico, velocizzare una burocrazia che è ancora fin troppo lenta e macchinosa, tenere sempre al centro la lotta per i diritti delle persone, varare un FOIA che porti realmente alla trasparenza dei dati e delle informazioni. Ma ripartire semplicemente dalle idee non basta più: serve elaborare un pensiero nuovo, una nuova filosofia politica che si discosti da quelle utilizzate negli ultimi decenni e che stanno ormai da tempo mostrandosi logore. Ecco, prima ancora di dare una risposta alle domande “A cosa serve un partito oggi? Come può la sinistra rispondere alla crisi? Come dobbiamo cambiare?”, serve riempire con una nuova filosofia politica la parola “sinistra”, orami da tempo svuotata non solo dalle idee e dai significati, ma anche da una qualsiasi visione che getti lo sguardo oltre la legislazione corrente. Solo qualche settimana fa mi ponevo le stesse domande rilanciando una vecchia provocazione: e se fosse necessaria una nuova costituente di partito per rilanciare il Pd?
Il dibattito sul ridare un senso alla sinistra ha radici lontane. Le possiamo rintracciare in un saggio di Michele Salvati del 1995, dove si criticavano le vecchie formule della sinistra che deve rielaborarsi, misurarsi con l’Italia odierna ma senza perdere la propria passionalità. A distanza di 22 anni direi che il dibattito è stato via via sempre annunciato ma mai fatto partire, Renzi oggi ha la responsabilità di dargli finalmente corpo e vita. Del resto lui stesso nel 2012 si propose come la persone che voleva ribaltare le vecchie liturgie di partito, che voleva spalancare il partito per farvi entrare aria nuova. Per farlo avrebbe però dovuto elaborare una propria ideologia e non lasciare che tutti interpretassero il renzismo come una piratesca conquista del potere. Temo risieda qui l’errore originario che ha poi letteralmente fatto esplodere il sogno di una generazione nuova al potere, quella che doveva portare la rivoluzione e il vento della novità ma che invece è finita per ricalcare più o meno tutti gli schemi (e gli errori e le storture e i vizi) della vecchia politica. La differenza fra allora e oggi la si nota da un dettaglio: nella sconfitta del 2012 Renzi si assunse totalmente ogni responsabilità, oggi fa quasi lo stesso ma ricordando anche come sia stato ostacolato, come un pochino di colpa la abbiano anche gli altri. Esattamente quello che fanno tutti i politici: abbiamo sbagliato, ma in fondo lo abbiamo fatto per colpa degli altri. Il risultato è stato che il ribelle Renzi si è travestito da conformista.
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Serve che il Partito Democratico torni a lanciare una sfida di alto livello al sistema dominante. Viviamo un periodo storico molto particolare, in cui le ideologie del passato risultano sempre più fragili e dove il sistema attuale si sta via via sgretolando. Serve tornare a essere ambiziosi non verso il potere ma verso l’elaborazione di una visione che getti le basi per il futuro dei prossimi decenni. Servono contribuiti intellettuali per dimostrare che possono esistere delle alternative al sistema vigente, per l’elaborazione di alternative ideologiche, culturali e sociali. In un’epoca di post-qualsiasi-cosa (postdemocrazia, postverità), forse sarebbe ora di parlare del nostro sistema e introdurre l’argomento del postcapitalismo, ma non con l’obiettivo di abbattere il capitalismo in sé ma con quello di ripensarlo, rivoluzionarlo, supportarlo nel suo aggiornamento. Tutti però devono essere coinvolti in questa rinnovata necessità di cambiare le cose, e tutti devono iniziare a farlo partendo dal proprio metro quadrato di spazio. Ecco, caro Renzi, la tua ultima intervista è piena di buoni propositi: questa volta cerchiamo di portarli fino in fondo. Cerchiamo di non farci trovare ancora impreparati alle sfide sociali e politiche che abbiamo davanti.
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