Partiti e politici

Pd e Sala, soldi da Parnasi non dovevate prenderne: sì al finanziamento pubblico

15 Giugno 2018

Anche il sindaco di Milano, Beppe Sala, dopo regolare pezzo del Fatto Quotidiano a cura di Marco Lillo in cui si racconta di un contributo di 50mila euro da parte della gentile famigliola Parnasi per la sua campagna elettorale (gli arrivano dalla signora Maria Luisa Mangoni, perché per le pezzature non esagerate Luca manda avanti mamma) è stato costretto a precisare il senso della vicenda. Scrive una nota su Facebook in cui chiarisce che «il Pd nazionale mi ha in parte finanziato direttamente e in parte ha veicolato alcuni suoi finanziatori. Tra questi c’era anche la signora Maria Luisa Mangoni, moglie di Sandro Parnasi, per la somma di 50mila euro. Il finanziamento è avvenuto con modalità tracciabili e nel rispetto delle regole ed è stato inserito, come previsto dalle norme, nel rendiconto già depositato presso la Corte d’Appello e reso pubblico nel settembre 2016, a conclusione della campagna. Tutto dunque nella massima trasparenza».

Prima e immediata morale: senza il pezzo del Fatto, noi cittadini non avremmo saputo che Parnasi aveva finanziato la campagna elettorale di Beppe Sala. In parte colpa nostra, della nostra pigrizia, perché l’elenco è pubblico, ma poi anche responsabilità del Sala medesimo, il quale in presenza di verminaio come quello che sta emergendo, poteva forse avvertire l’esigenza di precederci sul fatto, rammentandoci lui stesso del finanziamento. Ciò naturalmente non autorizza nessuna malizia nei confronti del sindaco, il quale peraltro ha buon gioco nel sostenere che ogni tentativo da parte del gruppo Parnasi di indirizzare luoghi e circostanze riguardo al futuro stadio del Milan è stato respinto con perdite (cita anche Maran, ottimo difensore del bene pubblico, che poi, grazie a una casa che non c’era, per tutta una giornata come un bambino si è tuffato nel barattolo della Nutella).

Sin qui, dunque, tutto regolare. Ma sotto cova un malessere. Il malessere, almeno lo immaginiamo, è scoprire che la tua campagna elettorale è stata finanziata da un tipo che oggi i magistrati inquirenti considerano un criminale, ma che già allora, non ancora sfiorato da inchieste, poteva suscitare più di un dubbio di opportunità politica, per ragioni che approfondiremo più sotto. Per cui, immaginiamo sempre, se tu potessi, quei cinquantamila li rimanderesti molto volentieri al mittente, a mammina Parnasi con un bel bigliettino: «Carissima mammina di Luca, le volevo dire che…» Questa è probabilmente l’amarezza di fondo di Beppe Sala. Ma il sindaco usa parole molto precise per spiegare come gli arriva quel finanziamento. Scrive infatti che il Partito Democratico gli ha“veicolato alcuni suoi finanziatori”, tra cui il signorino. Come dire: mi sono fidato della struttura organizzativa del Pd.

Ci sono dunque un paio di domande che giriamo a Beppe Sala e al Partito Democratico, nella persona del suo tesoriere Bonifazi. Non vi ha suscitato almeno un minimo di curiosità che un palazzinaro romano come Luca Parnasi, figlio di Sandro, il vero palazzinaro, sovrastato dai debiti, in mano a Unicredit, avesse tutto questo afflato sentimental politico per la corsa a sindaco di Beppe Sala a Milano? Ne avete per caso discusso con l’interessato, o con mammina intestataria del finanziamento?

E qui arriviamo alla questione. Per la storia di questo Paese, per la sua organizzazione sociale, per la totale mancanza di senso civico, di visione, di rispetto sacro per le istituzioni, non c’è un solo motivo, uno solo, anche minimo, per cui un imprenditore di qualunque ramo, che produca pannolini, bulloni, succhi di frutta, e meno che mai palazzi, possa avere a cuore le sorti di un partito politico, le sua battaglie civili, i suoi valori etici, se non nell’idea che un bel giorno, grazie a quel finanziamento, quel partito avrà per te un occhio benevolo. Insomma, almeno non ostile.

Questo è un clamoroso conflitto di interessi. E non importa se un bel giorno, quando quell’imprenditore busserà, gli verrà detto di no. È utile non prendere i suoi soldi da subito.
E qual è l’unico modo per tenere alla porta gli appetiti di lorsignori? Il finanziamento pubblico, l’unica forma di equilibrio bilanciato tra etica e doveroso sostegno statale alle attività di ogni partito (oggi resiste il contributo ai gruppi parlamentari). Certo, in epoca selvaggia come questa, dove si urla a qualunque forma di elargizione pubblica verso le organizzazioni politiche, parrebbe singolare ripristinare ciò che scatenò eserciti di demagoghi quando in anni più lontani quei finanziamenti servirono, in parte, a ingrossare le tasche di molti ladroni. Ma oggi è il tempo della consapevolezza: un finanziamento pubblico spazzerebbe via gli interessi più distorti, metterebbe alla porta certi appetiti e, se ne ne dovesse risvegliare altri, un severa forma di controllo e di attuazione troncherebbe sul nascere qualsiasi deriva. È arrivato il tempo di provarci di nuovo.

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