Partiti e politici
Caro Jacopo, forse è quell’Italia che non esiste più (forse non è mai esistita)
Condivido le parole di Jacopo Tondelli sulla ricandidatura del sindaco Sala. Ma vorrei spingermi più in là.
Beppe Sala è stato forse l’espressione più alta di una sinistra che ha dominato il panorama politico degli ultimi trent’anni: la sinistra della terza via, della fiducia nel progresso, nella crescita incondizionata. Una sinistra all’acqua di rose in grado di attrarre voti anche a destra, dalle classi più abbienti, solitamente spaventate da quell’area politica. Questo tipo di sinistra, che ha funzionato negli anni ’90 e negli anni zero, è entrata in una crisi da cui fa fatica a riemergere. Tutto, probabilmente, comincia sul finire degli anni zero con l’arrivo della Grande Crisi. A quel tempo la sinistra era ancora al potere in alcuni dei più grandi stati europei come il Regno Unito e la Spagna. Quella crisi ha messo in crisi la realtà su cui si basava la narrazione di quella sinistra più aperta al privato e istanze di centro.
Per far fronte a questa crisi, la sinistra ha cercato una nuova narrazione. Da interpreti del benessere e della crescita, sono diventati i custodi dei conti e della modernità. D’altronde, non si è basata su questo la campagna elettorale di Renzi durante le elezioni del 2018? Noi siamo quelli responsabili, questo era di fatto lo slogan. Dall’altra parte i barbari in grado di sfasciare i conti pubblici e far ripiombare l’Italia nella stagnazioni.
La sinistra ha così sposato la linea meccanicista della politica. La Cosa Pubblica, secondo questa interpretazione, è un ingranaggio complesso e delicato. Solo pochi- responsabili, di successo, acculturati- riescono a metterci le mani senza far saltare in aria la baracca. Ma, sia chiaro, per far funzionare la baracca serve che lo Stato si faccia sempre più indietro, lasciando aziende e privati nelle condizioni di trovare allocazioni ottimali delle risorse.
Non è un caso che i vincenti siano stati al centro della narrazione durante l’epoca Renzi.
Non le sofferenze di persone che vedono le loro tutele lavorative sempre più erose.
Non quei giovani nati in contesti di povertà e ristrettezze a cui è strappato via il futuro.
No, la sinistra di Renzi era la sinistra di Farinetti, di Della Valle, di Davide Serra. E, dal punto di vista politico, di Sala. Chi poteva rappresentare meglio questa nuova sinistra se non un manager di successo in grado di dare lustro all’Italia con l’organizzazione di Expo 2015?
L’ottimismo di questa sinistra, di per sè minacciato da una situazione economica precedente che non era mai tornata ai livelli pre crisi e dall’avanzata dei populisti in tutto il mondo occidentale, è definitivamente morto con l’arrivo della Pandemia. Quando la crisi da Covid 19 ci ha colpiti la prima volta, intellettuali e filosofi e politici si lanciavano in mirabolanti previsioni sul “non sarà più come prima”. Si tratta di una visione fin troppo semplicista. La pandemia sta funzionando da catalizzatore di certi fenomeni che erano già chiari: la crisi della globalizzazione, la Cina che emerge come prima potenza mondiale, l’insoddisfazione delle popolazioni occidentali di un certo modo di concepire la politica.
Questa crisi da Covid 19 ha messo in luce le debolezze di un sistema che fa arricchire i più ricchi e mette alle strette i più poveri, che favorisce chi ha accumulato ricchezze rispetto a chi ha competenze. Le restrizioni, d’altronde, lo hanno mostrato chiaramente: chi possedeva una casa o un appartamento più piccolo ha risentito di più di problematiche legate al benessere mentale.
Quella massa di non vincenti, che quarant’anni di politiche di un certo tipo- mi rifiuto di utilizzare il termine neoliberismo- ha prodotto, si sta pian piano riprendendo lo spazio politico. E la situazione, in Italia e nel mondo, è lungi dall’essere stazionaria. Di sicuro il vaccino aiuterà a concludere l’emergenza sanitaria, attenuando il numero dei morti, ma la tempesta sociale che ci apprestiamo ad affrontare- quando finirà il blocco dei licenziamenti ad esempio- non solo è destinata a restare qui dando vita a dieci anni di stagnazione e povertà. Non solo: questa ci deve spingere ad abbandonare la cassetta degli attrezzi della sinistra tradizionale, sia quella post comunista- disinteressata alla crescita- sia quella da terza via- solo di striscio interessata alla giustizia sociale. Per fronteggiare una crisi di questo tipo servono dunque politiche nuove, radicali.
Per questo Sala rischia di essere anacronistico, così come l’intera area di sinistra in Italia, ancora troppo assuefatta dal potere per portare avanti politiche in grado di rispondere ai problemi di questi tempi: la produttività ferma da anni, le disuguaglianze, il cambiamento climatico, il dilagare di ansia, depressione, insoddisfazione.
A questi problemi, Sala ha anteposto il mantenimento del passato. Durante i mesi estivi ha invitato i cittadini a “tornare a lavorare”. Quando la Lombardia è entrata in Zona Rossa ha manifestato la sua vicinanza e la sua comprensione a chi non poteva raggiungere la seconda casa sul litorale ligure.
Siamo sicuri che la strada per strappare l’egemonia discorsiva alle destre passi dalla riproposizione di schemi vetusti e ormai inattuali? Non solo a Milano, ma anche in Italia. Quell’Italia ottimista non esiste più, è ora di prenderne atto.
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