Partiti e politici

Cari Direttori, il “pagherete tutto” di Grillo ha una sua grandezza distruttiva

4 Gennaio 2017

Toccava ai direttori intervenire e i direttori sono intervenuti, da Mentana a Calabresi, chi proponendo querela per diffamazione, chi sottolineando la deriva grillesca dell’informazione, che vorrebbe chiamare i giornali a un processo popolare, meglio ancora se di piazza, per definire chi è degno e chi no. Ci siamo abituati negli anni a questa rappresentazione del “sistema”, quando i confini della democrazia appaiono in pericolo perchè qualcuno li vorrebbe ridisegnare a suo uso e consumo e dunque è necessario, e probabilmente anche giusto, indignarsi e far scattare l’allarme. Nè basterebbe sottolineare la venatura comico-grottesca dell’impianto costruito da Beppe Grillo, che è poi la trasposizione più politica degli spettacoli che ha sempre portato in giro per l’Italia (per chi ne ha visto almeno uno). Ma se il comico e il grottesco sovrintendono a un quarto dei voti di cui dispone l’intero bacino elettorale italiano, non è proprio il caso di liquidare la questione come la bagattella di uno scapestrato.

Ma non tutto convince delle reazioni veementi che animano in queste ore il mondo politico e giornalistico che vede in Beppe Grillo un pericolo per la democrazia. Nè sembrerebbe sufficiente ripararsi, come ha fatto il finto ingenuo Mentana, dietro l’espressione “fabbricatori di notizie false”, giacchè mettere a disposizione i propri archivi per dimostrare che nulla di falso è stato mai fabbricato di sicuro non basta. Come certo non basta portare l’ultima parola in tribunale. Anche in questo Beppe Grillo si è mostrato per il banale e, al tempo stesso, geniale semplificatore che è, dovendo provocare l’immediata reazione dell’opinione pubblica. Che infatti c’è stata, veloce, rumorosa e per una volta compatta. Da destra verso sinistra e viceversa. Epperò. È perlomeno strano, anche se prevedibile, che nessuno alla “semplificazione” di Beppe Grillo abbia voluto attribuire un valore più largo, meno banale di quanto potesse apparire, allargando il campo dell’analisi alla surrettizia creazione del consenso, che è poi il vero problema dell’informazione. Informazione (cartacea) che oggi sembra difendersi con l’unico mantra possibile, quello delle “post-verità” organizzate, orchestrate, propalate, dalla disordinatissima ma terribile Rete. Una cortina fumogena che permette ai giornali di non interrogarsi su se stessi, sul proprio passato, sulla responsabilità di aver creato un terreno di coltura perfetto perché il seme della Bubbola potesse attecchire e diventare pianta rigogliosa.

Se stiamo semplicemente alla “fabbricazione” di una notizia falsa, i giornali avranno sempre buon gioco a dimostrarti che no, non è così come urla il comico/politico. E a trascinarti in tribunale, dove il giudice in sede civile quantificherà il danno. Ma è proprio qui che Beppe Grillo dimostra tutta la sua forza e anche tutti i suoi limiti. Perché evita con cura di approfondire il tema del consenso, quello che porterebbe davvero i giornali sul banco degli accusati, essendo quel tema scivoloso per definizione, dimostrabilissimo ma solo previa analisi storiche, documenti, paralleli, riferimenti, che i movimentisti un tanto al chilo dei 5 Stelle non potrebbero mai illustrare nelle piazze, pena l’addormentamento generale dei militanti. I quali, per definizione, amano i sentimenti tagliati con l’accetta, da urlare nelle piazze e in faccia ai politici di professione e dunque solo il confronto «falso-vero», «onesto-disonesto», «innocente-colpevole» e via così. Ecco perchè quella sterzata grillesca sull’avviso di garanzia ha portato paginate e paginate sui giornali.

Il «pagherete tutto» di Beppe Grillo ha una sua grandezza distruttiva. Perché riassume in modo violento e inurbano il mezzo secolo passato, avendo – egli – l’età per ricordare cosa sono stati i giornali nel bene, ma soprattutto nel male. Ma deve attualizzare a uso e consumo di una società che non ha memoria, che non sedimenta ma fagocita, che non desidera il peso di un pensiero più strutturato. Quello che porterebbe, giusto perchè almeno un esempio moderno andrebbe fatto (e millanta se ne potrebbero fare), a valutare gli ultimi due anni di Ezio Mauro alla direzione di Repubblica e il suo rapporto con Matteo Renzi. Vi siete forse accorti di un qualche accenno critico, di qualche pezzo che lo valutasse in modo perlomeno dubbioso, che ne raccontasse l’incedere spavaldo con qualche timida riserva? La risposta è nelle raccolte di Repubblica, l’archivio, come dice spavaldamente Mentana invitando Grillo a rovistarci dentro. Ma la funzione degli archivi, carissimo Enrico, non è quella di disvelare la fabbricazione di notizie vere o false. Quella, appunto, è questioncella da querela. Gli archivi si consultano per il senso della storia e per la sua eventuale manipolazione.

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