Partiti e politici

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20 Novembre 2024

Potrebbe significare qualcosa di positivo un risveglio democratico in Emilia Romagna e in Umbria ossia può un’elezione locale segnare una svolta verso un cambiamento a livello nazionale?

In genere non è necessariamente così però, vedendo le percentuali di crescita di alcuni partiti e di caduta libera di altri, almeno in quelle regioni, si potrebbe sperare di sì.

Ci attacchiamo a questa speranza, ci piace festeggiare perché intorno e nel resto del mondo vediamo avanzare l’oscurantismo. Quindi una piccola vittoria locale significa molto per noi italiani, almeno noi che siamo profondamente scontenti e spesso inorriditi da come l’oscurantismo contemporaneo risvegli, esibendoli, antichi fantasmi nefasti che sembravano esorcizzati per sempre.

Nei giorni scorsi scrivevo sull’enorme peso degli indifferenti nella nostra società. La nostra società, occidentale, ha un’impostazione verticale, gerarchica. La nostra cultura ce l’ha. Il tempo, per noi, fin dalla Grecia classica, ha un prima, un presente e un dopo, su una linea che può andare solo in avanti.

E questo inzuppa anche la teoria evoluzionista, per la quale gli esseri viventi seguono un’evoluzione, nel corso delle ere geologiche, da esseri monocellulari a complessi, fino ad arrivare agli attuali, colle conseguenti mutazioni ambientali. Quando il “dopo” però diventa distruttivo, per cause esterne e naturali o determinate da comportamenti umani, inevitabilmente si rischia di tornare a uno stato più prossimo a quello primitivo, non unicellulare, certamente, ma a un livello di civiltà assai arretrato. Arretrato secondo i nostri attuali parametri, perché l’età della pietra durò tre milioni di anni, mentre l’età di alta tecnologia dura da pochi secoli in confronto, con alti e bassi, ma non ci vuol niente ad annientarla, basta premere un bottone.

Basti ricordare l’altissimo livello tecnologico raggiunto dall’Impero Romano e prima ancora da quello Egizio e prima ancora non sappiamo se ci furono civiltà spazzate via da cataclismi endogeni o esogeni. Sappiamo che un’eruzione vulcanica nell’Egeo cancellò l’avanzata civiltà minoica e lo tsunami gigantesco che provocò interessò tutte le coste del Mediterraneo, luogo dove si stava sviluppando una civiltà avanzata.

Si tende, storiograficamente, ad attribuire la caduta dell’Impero Romano a varie cause concatenate, le invasioni barbariche, il cambiamento climatico, l’avvelenamento da piombo, epidemie, la difficoltà di controllare confini così estesi con un sistema di comunicazioni che non consentiva spostamenti rapidi e tante altre componenti che concorrono alla decadenza di una civiltà avanzata.

Più volte, nel corso della Storia, si sono visti imperi fortissimi crollare in poco tempo. Anche di recente, imperi che sembravano invincibili si sono sgretolati ed equilibri che per un po’ di tempo hanno scandito la vita quotidiana del mondo, facendola sviluppare in una direzione, hanno rivelato che l’equilibrio cambia di continuo e che bisogna stare molto attenti a capire come fare per fronteggiare l’improvviso baratro che può aprirsi davanti a noi.

L’ottimismo sfrenato di chi crede che la tecnologia possa portare solamente “benessere”, come raccontavo ieri, è tanto pernicioso come il pessimismo che non vede che ostacoli e solo quelli. Perché entrambi gli atteggiamenti oscurano la realtà delle cose, privilegiando una visione che però analizza solo alcuni aspetti della globalità.

Succede molto più spesso di quanto ci rendiamo conto, a volte il grado di disperazione è tale che preferiamo credere alle bugie governative piuttosto che continuare a disperarsi.

È quello che succede in questo momento negli Stati Uniti, dove due ciclopici imbecilli, con un corteo d’imbecilli minori ma ugualmente pericolosi, si sono impadroniti del potere col consenso di persone che hanno creduto alle loro bugie. Succede, nel microcosmo italiano, anche da noi, perché alla gente piace credere alle parabole, alle favole, alle fandonie che il potente di turno racconta per avere il consenso necessario per arrivare in cima alla scala gerarchica, perché in democrazia succede questo.

Ci sono paesi dove ciò avviene più facilmente grazie a una scolarizzazione sempre meno approfondita che non prepara gli allievi a un pensiero critico e viene vista come un’imposizione dai giovanissimi, un luogo cove si insegnano materie obsolete, come le lingue morte, letterature in quelle lingue, ma anche la lingua che si parla è lontanissima dal volgare dantesco o petrarchesco, è lontana pure da quella che si parlava nell’Ottocento. Così si maltratta la Storia, si tende a semplificare, non si studia più la Geografia, cosa fondamentale per far capire ai giovani com’è fatto il mondo, chi lo abita, cosa si produce da un capo all’altro, come cambiano i climi, i confini, perché si emigra. Ma i ministri, soprattutto quelli di destra, stabiliscono cosa il giovane deve studiare e cosa no.

Il risultato è che oggi, molto più che nel passato, la scuola non forma più le coscienze perché non abitua a un pensiero critico. È sicuramente molto più tecnologica, perché i ragazzi nascono col telefono intelligente in mano e quindi imparano presto a smanettare nella rete, sanno usare il computer (che ha perso le caratteristiche iniziali di calcolatore), e sanno entrare nei siti più strani, spesso limitandosi ai videogiochi, ma non sanno cosa cercare nell’archivio immenso che la rete offrirebbe. Soprattutto non hanno i mezzi critici per distinguere le notizie vere da quelle finte.

E questo la scuola non sembra saperlo insegnare più perché se un insegnante si azzarda a spiegare cose che alle famiglie d’origine non piacciono, queste ricorrono subito a proteste sia formali che corporali, picchiando insegnanti e scatenando il disordine. Mai parlare di Dante ai mussulmani né di evoluzionismo ai creazionisti.

Ormai molti ragazzi che arrivano all’università si portano dietro lacune enormi, dovute alla degenerazione della scuola, stabilita da riforme assurde fatte da persone che d’istruzione non ne capiscono nulla.

Il degrado dell’istruzione e quindi dell’informazione comporta un’estensione dell’analfabetismo e una facilitazione dell’indottrinamento. Il pericolo dell’ignoranza è gravissimo perché, solo per fare un esempio, la filosofia dell’ “uno vale uno” così sbandierata dal Movimento Cinque Stelle, che credeva di farne un vessillo positivo di uguaglianza e progresso, rivela la sua vera faccia che porta all’ascesa al potere di persone senza arte né parte che combinano solo danni, tanti quanti ne avevano combinati i criticati predecessori.

L’ipertecnologia di cui coloro si vantavano, per esempio, che ha consentito l’aggregazione attraverso la rete, ha messo anche in evidenza come le ignoranze individuali si diffondessero in maniera settaria, e siccome uno vale uno, l’ignoranza ha preso la stessa strada della cultura, sovrapponendosi.

Un po’ ciò che succedeva al Maurizio Costanzo Show, dove nello stesso salotto sedevano il premio Nobel e la coatta di periferia, ognuno con diritto di parola e il cui peso era uguale, cogli applausi che partivano a un segnale del capoclaque. Costanzo ha reso la gente incapace di distinguere il valore dalla nullità. La banalizzazione di tutto, insomma.

Codesta banalizzazione ha fatto sì, a poco a poco, che la figura dell’intellettuale fosse una figura da disprezzare, perché troppo complicata da capire per l’uomo comune. E poi non erano certo gli intellettuali che facevano i soldi, la cosa più importante. I soldi, come mostrato attraverso i media, li facevano i calciatori, la gente che andava in televisione, partendo magari dalla velina o letterina o qualsiasi ballerina che si sapeva muovere per poi approdare alle cene eleganti e magari diventare assessore o consigliere in giunte comunali, provinciali o regionali, e poi magari ambire al Parlamento. I soldi li facevano i furbi, quelli che sapevano cavalcare le tigri del momento, gli avventurieri, quelli che non pagavano le tasse, quelli che avevano amici in politica.

Questo ha insegnato la tv commerciale di Berlusconi, imitata presto dalla televisione di Stato quando il Cavaliere, facendo il lavaggio del cervello alla gente colle sue reti, da eletto si è impadronito delle coscienze di una parte consistente degli italiani che non guardavano le sue tv. E così furono banditi Biagi, Guzzanti e Luttazzi, perché molestavano il pensiero.

L’indottrinamento, una volta preso il potere, è stato più facile e le bugie raccontate, abbellite con lustrini e culi di ballerine, hanno avuto presa facile su un popolo sempre più ignorante e disposto a farsi prendere in giro. Tutto questo ha avuto conseguenze abbastanza tragiche per il nostro paese, anche perché la società dei consumi è stata esasperata da quell’imbonitore professionista, che sapeva come intortare il suo pubblico, raccontando barzellette e facendolo sognare, mostrandosi come modello per altri potenti europei. Per esempio, Sarkozy, in Francia, pur non raggiungendo la grandezza di Berlusconi, è stato una specie di seguace, con ingredienti simili, come la moglie fotomodella e cantante (cantante, poi, insomma… s’è pure vista a Sanremo la qualità del suo canto), uno stile di vita ostentato, una statura culturale abbastanza bassa, diciamo una parodia in peggio del Cavaliere. Che è quanto dire.

Anche oltremare si sono ispirati a lui, tutta una serie di argentini e brasiliani, e perfino Putin andava a braccetto col Cavaliere, mostrando tutto il tascio che si poteva, perché il potere, nella maggior parte dei casi è profondamente tascio, come tasci sono i nuovi ricchi. Briatore, per esempio, è fortissimamente tascio, come la Santanchè e moltissimi altri riccastri. Trump e Musk, altro esempio di tasciume ostentato e non so quanto consapevole.

Il tascio detesta l’intellettuale, fastidioso come un paio di scarpe strette. Perché l’intellettuale mette a nudo in due parole la scala di valori finta del tascio, l’evanescenza delle mete che il tascio si propone, un po’ come la cicala e la formica, che diventa petulante e scomoda, ricordando che arriva l’inverno e qualcosa da parte bisogna averla per sopravvivere. Macché, bisogna cantare come se fosse sempre l’ultimo giorno, e godere, senza alcun programma. Il grillo parlante viene schiacciato da Pinocchio.

L’intellettuale, in questo modo, viene disprezzato dal potere, soprattutto di destra, che poi si meraviglia se la famosa “cultura della destra” viene sbeffeggiata perché inconsistente.

Salvini, una delle più significative incarnazioni dell’ignoranza al potere, dileggia i “professoroni”, intendendo le persone che ne sanno più di lui (ci vuol poco) e che pretenderebbero insegnargli le cose, che screanzati. Non sentirete mai e poi mai parlare Salvini e Meloni, o Crippa o Calderoli o Lollobrigida o Donzelli e tanti altri di qualcosa di culturale perché non hanno la più pallida idea di cosa significhi avere una cultura. Quando lo fanno, e addirittura sono incaricati di fare i ministri della cultura, sono capaci di dire solenni minchiate, come ha fatto Sangiuliano colle sue esternazioni geografiche e storiche.

In questo disastro socioculturale dove il sapiente è visto come un ostacolo all’espansione degli ego incolti è chiaro che è estremamente difficile riportare le cose sul binario della razionalità ma è l’unica cosa da fare per cercare di salvarsi e non perdere, almeno, il grado evolutivo che avevamo raggiunto. Alla barbarie ci si torna in un attimo, per costruire non basta una vita, per distruggere basta un battito di mani.

I progetti dei partiti d’opposizione dovrebbero basarsi su questo, ricercando personalità capaci di rendersi conto del quadro della situazione attuale. Non si riesce a superare la fase di lamentela, senza alcuna azione consequenziale.

Forse perché la velocità con cui tutto accade rende vano qualsiasi progetto che risulta obsoleto dopo poco tempo perché nel frattempo tutto è cambiato. Forse perché molti intellettuali sono ripiegati su sé stessi, quasi si rifiutassero di vedere il futuro in faccia perché quel futuro non è gradevole da immaginare e vedere. O forse perché ci vogliono davvero capacità superumane per raccordare tutto ed elaborare una visione diversa e non ci sono persone così capaci ed eretiche. E preparate a lottare.

Del resto l’iperspecializzazione che affligge la maggior parte delle professioni, oggi, impedisce di avere uno sguardo globale più libero. Si vede in campo medico, per esempio, dove uno specialista in un particolare ramo sembra che ignori il resto del corpo che non è sua competenza, come se un medico non dovesse conoscere il funzionamento di tutto il corpo del paziente.

Capita sempre più spesso, perfino all’università, che, se uno si specializza in qualcosa, non conosca cose fondamentali della propria materia. Anche la politica non sfugge a questa superficialità e si ritira in sé stessa allontanandosi dalla gente, non parla più una lingua comprensibile ma s’inventa il politichese, assai simile al linguaggio di Azzeccagarbugli. Il famoso discorso di Giuli è emblematico.

Conobbi una volta un professore usoniano di letteratura americana che non conosceva Nathaniel Hawthorne, cioè uno degli autori più importanti della storia culturale degli Stati Uniti. Nulla, lui aveva studiato solo letteratura contemporanea e ignorava l’Ottocento. E insegnava letteratura. Proprio non ne aveva nemmeno sentito parlare. Sarebbe come dire che un professore di letteratura italiana si fosse specializzato in Moravia o Tabucchi e ignorasse i grandi autori del passato, che so, Petrarca, Parini, Leopardi. Che insegni a fare? Tanti pignatelli in testa, asino.

Se questo è il livello universitario degli Stati Uniti e se dobbiamo apprendere da loro le nuove linee di comportamento, perché ormai scimmiottiamo sempre loro, si salvi chi può.

Mi auguro che sia solo un caso isolato. Eppure ho conosciuto insegnanti di letteratura italiana del DAMS di Bologna che ignoravano interi periodi della storia letteraria, proprio tabula rasa. Era un ex sessantottino, quelli del sei politico. Se ne possono trarre dei risultati?

Forse sono stato sfortunato io ad averli incontrati ma il degrado, a giudicare dagli svarioni dei ministri e dei parlamentari di tutti i colori da cui i comici attingono voracemente per cercare di parodiarli, sembra diffuso. Qualcosa vorrà dire.

Ecco, se si vuole progredire, in qualsiasi parte politica, bisogna individuare le mele marce e metterle nella compostiera, dove serviranno almeno a fertilizzare gli uliveti, e accogliere a braccia aperte, incentivandoli, quelli bravi, ma quelli veramente bravi, non quelli che si fanno scrivere i libri dai ghost writer.

Certo, condizione necessaria per chi sceglie dovrebbe essere saper leggere. Dalle scelte che si continuano a fare nel campo della maggioranza di estrema destra che ci governa mi sembra che l’analfabetismo sia gettonatissimo e proceda a gonfie vele. Giorgia difende a spada tratta sempre e comunque i suoi analfabeti, che lei stessa ha messo in quelle posizioni ministeriali. Ovviamente le si ritorce contro di continuo, perché il numero di gaffe che fa  questo governo quotidianamente non lo facevano nemmeno i governi Berlusconi.

Possiamo spronare almeno le sinistre a cercare persone valide? Da elettore disperato, stufo di votare sempre il meno peggio, posso sperare, almeno una volta, di avere rappresentanti con una dignità culturale passabile?

Ci siamo resi conto di chi ha scelto, anche a sinistra, o in quello che veniva identificato erroneamente come sinistra, cioè Renzi o Gentiloni, i papaveri e le papere, come, solo per fare un esempio, Valeria Fedeli all’Istruzione. Ricordiamo le gaffe della ministra, dai comparativi sbagliati ai congiuntivi in esilio, a Vittorio Emanuele III scambiato con Vittorio Amedeo III, alla trovata geniale di far usare il telefono intelligente agli allievi in classe. Se si vuol essere senza macchia bisogna anche proporre donne e uomini migliori di altri come, giusto per far due nomi di disastri, Moratti e Gelmini, non mediocri tanto quanto.

Certo, grandi uomini di cultura se ne contano pochi, Umberto Eco non c’è più, ma ormai gli opinionisti da salotto televisivo sono confusi cogli intellettuali pur essendo una cosa ben distinta. Qualche scrittore/scrittrice sembra emergere ogni tanto, ma sembra impossibile sperare in nuovi Moravia, Pasolini, Morante, Calvino, Ortese, Sciascia, giusto per citare qualcuno che di cultura poteva parlarne. Intellettuali coraggiosi, a parte Michela Murgia buonanima che pure ogni tanto esagerava, che emergano per critiche eretiche e furiose all’omeopatica società che ci circonda non se ne vedono, soprattutto le case editrici sembrano evitarli come la peste, si preferisce qualcuno che non disturbi, che non prenda posizioni scomode, visto che l’editoria fa parte dei potentati politici. Resta Erri De Luca, che ha settantaquattro anni, un grande vecchio e saggio, ultimo rappresentante di una Scuola di Atene che ormai è dissolta.

Per queste assenze di giovani capaci, fenomeno Fusaro a parte che però è un turbonanista verbale che poi oltre il turbo non arriva nemmeno per sbaglio a un climax decente, emerge una porcheria come “Il mondo al contrario” di Vannacci, per assenza di mondi diritti o anche obliqui o perfino rovesci ma di intellettuali veri non di militari esaltati e autoreferenti.

Comunque, la linea è quella, ci vogliono i cappelli pensatori come quelli di Archimede Pitagorico. Buona caccia Schlein, il timone ce lo hai tu. Se vuoi qualche suggerimento io sono qui.

 

 

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