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Bruno Vespa è figlio legittimo di questo Pd e dei precedenti: perché lamentarsi?
Cercando disperatamente di prevedergli una terza via possibile che non fosse l’appiattimento istituzionale anche con la famigliuola Casamonica, ho sbattuto ripetutamente la testa al muro senza trovare una pur minima soluzione, dovendo concludere, alla fine, che la pretesa del Partito Democratico romano, con alla testa il commissario Orfini, di immaginare un Vespa nella parte di Aramis che infilzava la memorabile figliola del fu Vittorio fosse non solo inconcludente ma persino insultante per il tenero Bruno che aveva tenuto il passo pattinato di sempre, onorando ancora una volta, e con il beneplacito dei pagatori di canone, la sua splendida seconda serata Rai. Stasera, lo sciagurato cardinale della politica televisiva riparerà con Sabella, assessore capitolino e per giunta magistrato cattivo come lo raccontano le cronache, e c’è da giurarci che Bruno sarà nuovamente all’altezza della sua fama, guadagnata e costruita onestamente su quella brezzolina romana che ti accarezza il collo come una setosa pashmina e ti rende la serata dolce e indisturbabile.
Del resto basta accendere – random – una qualsiasi delle serate politiche di «Porta a Porta» per verificare che Vespa è quello dei Casamonica anche con un Ernesto Carbone qualsiasi e neppure gli passerebbe per la testa d’essere aggressivo con il Lupi disarcionato per via orologiaia o con uno dei mille Gasparri di complemento, e per carità di partia si evita qui di nominare un presidente di commissione o un sottosegretario, criterio minimo, sino ad arrivare ai ministri, per pretendere dal nostro bravo presentatore la sua più totale indisponibilità a mettere la scomodità giornalistica non si dice a sistema, ma neppure come possibile incidente della storia. Da questo listone, sono giustamente esentati i primi ministri, ai quali, come tutti sapete, viene riservato dal medesimo un trattamento da centro benessere.
Non si pensi che a Vespa Bruno possano essere accollata più delle colpe che (non) ha, essendo la Rai vespizzata da secoli e segnali di cambiamento non si sono affacciati neppure nel momento di nominare i nuovi consiglieri, che Matteo Renzi ha pescato vuoi da cassetti ammuffiti, vuoi dal bar del paese (con la p minuscola). Il nuovo Cdo, come opportunamente Aldo Grasso chiama Campo Dall’Orto, dovrebbe porre la grande questione del rapporto della Rai con la politica, ma nella sua prima (inutile) intervista da amministratore del carrozzone televisivo, il direttore generale ha parlato delle sue vaghissimevisioni “pop” evitando con cura l’imbarazzante condizione dell’azienda. Per cui, delle due l’una: o abolirla, come si penserebbe meravigliosamente del Senato, o riportarla al decoro dei tempi in cui era seriamente lottizzata dalla Democrazia Cristiana e uscivano giornalisti come Emilio Rossi e Barbato, due tra mille, o funzionari come il tenero e straordinario Camilleri (auguri!)
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