Partiti e politici
Raccontatecela ancora, dai!
Raccontatecela ancora, dai!
Elezioni 2020, Brugnaretta alla conquista di Veniceland.
Premessa
Marco mi guarda e fa di no con la testa. Perdere ancora tempo a leggere il programma del PD non può certo avere la sua approvazione. Ma voi sapete com’è, se uno c’ha la fissa di intuire “cosa capiterà a questo mio paesotto” non può fare a meno di guardare dalle parti di “chi conta”, sempre lì bisogna guardare.
Ad esempio già tutto conosciamo (e persino troppo) del sindaco Brugnaro, l’Oligarca, e sappiamo che una sua eventuale rielezione non può che essere sulle tracce de “Il cavaliere oscuro – Il ritorno”, quello in cui Batman ritorna ma è più cattivo, ancora più collerico e fa solo i suoi interessi. E così prendo in mano il programma del PD. Leggo a pagina 26 che il partito per Venezia propone una sua trovata innovativa: “più turismo e meno turisti”. Rigiro allora il pamphlet tra le mani, controllo la copertina, e si, effettivamente è proprio il programma del PD e non una stampata di “Lercio” o dello “Schitto”, eh no accidenti, è impaginato bene, è tipografato con un bel carattere “Ciutadella-Light” da 60.
Torno quindi a pagina 26 e ci riprovo. “Avere ‘più turismo e meno turisti’, più lavoro e più residenti è difficile, ma è una sfida che molte amministrazioni comunali in Europa e nel mondo stanno cercando di vincere attuando politiche integrate e innovative.”. Marco mi guarda e fa spallucce sorseggiando il cabernet di Meolo, sembra dirmi “te la sei cercata”.
Però ammetterete che quel più turismo e meno turisti è veramente suggestivo. Ricorda certe pubblicità degli investimenti a piramide dello schema Ponzi, ricorda certi maghi del lotto sulle tv locali, ricorda il soldino del gatto e la volpe, ricorda il paradosso della crescita infinita. Ci fa ricordare quanto era bella la nostra infanzia e quella ingenuità d’un dentino infilato sotto al cuscino, d’una letterina alla Befana. Ma poi c’è stata questa maledetta storia del “maturare” e del “far di conto” che hanno segregato in noi quella beata ingenuità ai soli sogni notturni e ovviamente a certi programmi elettorali. E così noi Donchisciotte sembriamo ancor di più dei vecchi grilli parlanti quando cianciamo che la crescita non sarà infinita, che gli investimenti piramidali sono una bufala per allocchi, e che avere ‘più turismo e meno turisti’ è un ossimoro inascoltabile, è una bluffata pubblicitaria come quella della colla ‘che non fa fili e non sporca’.
Così, quasi per consolarmi, apro il gazzettino del 15 luglio e tra i tanti fuochi d’artificio di alleanze ed eterni ritorni -tra tutti Bettin, ma lo metto dopo Bettin- ecco un trafiletto che ci racconta le manovre reali, le Grandi Manovre elettorali di chi conta qualcosa in città. Il trafiletto si intitola “Il Venice Hotel Market organizzato dagli albergatori” e parla di un bel dibattito preparato dal patron Marchi all’aeroporto, presente l’intero gotha dell’industria turistica, con ospiti d’onore Pier Paolo Baretta ed il sindaco Brugnaro.
Ma toh, guarda. Albergatori e logistica turistica si incontrano sotto la sigla audace del “Venice Hotel Market” e si confrontano con i due papi in lizza; non sono certo Jude Law e John Malkovich ma ci sarà pur da scegliere il futuro sindaco della città. Ai tempi d’oro il buon ingegner Mazzacurati aiutava elettoralmente sia il PD che Forza Italia -uno tanto l’altro come fanno in America quelli che sanno- perché l’importante era che il Consorzio Venezia Nuova vincesse comunque le elezioni. E così oggi rieccoli, pronti alla nuova contesa elettorale. Immagino che un Brugnaro in elmetto da cantiere prometterà “più turisti spendaccioni” e che Baretta invece suggerirà la formula “più turismo spendaccione”, e poi tanti sorrisi e grandi pacche sulle spalle, e poi una stretta di mano all’oligarca ed un occhiolino audace al burocrate Montiano d’affiancamento, e poi i giornali che contano -di proprietà degli stessi s’intende- suoneranno le loro trombe, e poi qualche gruzzoletto d’euro -trasparente s’intende- verrà speso in social per farti apparire sulla bacheca facebook un bel font “Ciutadella-Light” da 60 oppure un sindaco oligarca che taglia nastri tricolori.
In fondo non servirebbe aggiungere altro. Uno dei paradossi della postmodernità è che la postmodernità indubbiamente ci affonda nel lungo periodo ma al contempo nel breve periodo ci sa rassicurare come un “pan goccioli” del Mulino Bianco, e così questo fatalismo ci è ormai entrato nelle carni, in profondità. Incontri ogni giorno un tizio per strada che ti guarda e ti dice: “La pensione? Ma in pensione io non ci andrò mai!” e se la ride. E ce la ridiamo. Ci spaventa così tanto questa incertezza che l’unica prospettiva che ci pare possibile è che prima o poi accadrà qualcosa che farà restare a galla questa nostra culla, la farà restare a galla sulle sabbie mobili di uno sviluppo in cancrena. E così questa eterna “fin de siècle” ci appare meno spaventevole e facciamo persino un salutino alla willy il coyote mentre cade nel precipizio. Ma questa scaramanzia in fondo in fondo non ci rassicura più di tanto, lascia dei vuoti, abbiamo sempre bisogno di nuove promesse per quanto strampalate esse siano, abbiamo un bisogno insaziabile di riti di narrazione, di una messa recitata. Perciò Raccontatecela ancora, dai. Noi intanto accendiamo il maxischermo. La nostra sola priorità è dimenticare le promesse elettorali mancate e tutte quelle altre cose che alimentano il dubbio, il nostro ricordo da diabetici del consenso si è fatto selettivo, astuto. Dai, su, crediamoci ancora. Crediamo che l’Hotel Market di Veniceland non farà della strada sotto casa una Cannaregio Street food, non farà della Giudecca la fondaromantica night, no, crediamoci ancora, crediamo che ci saranno meno turisti e più turismo, più turismo e più residenti, più lavoro e più tempo libero, più tassisti e più professori, di più, tutto di più. Amazon ci porterà il gianduiotto di Nico col drone e i cieli saranno liberi dai droni e pieni di aquiloni. Ma sopratutto gli albergatori saranno felici e i facchini pure, saranno tutti contenti, come in sette spose per sette fratelli, e Venezia avrà i colori del Technicolor anni cinquanta.
E se poi, ahinoi, arriverà di nuovo il covid, e se un integralista cattolico si farà esplodere nel padiglione iraniano, e se qualcosa insomma rallenterà questa macchina turistica, la nostra monoeconomia non collasserà completamente, no, perché le favole funzionano bene solo se ci si crede veramente e si battono i tacchi tre volte.
Marco mi guarda e sorride, ora inforca la chitarra. Questa cosa del battere tre volte i tacchi gli ha fatto ricordare la sua canzone. Ma ora voi piuttosto non arrabbiatevi con me. Si poteva parlare con maggiore serietà del programma di chi prospetta “più turismo” a Venezia? No. Si dovrebbe piuttosto parlare di decolonizzazione turistica, di ritessitura economica, di creare esperimenti campione per la riconversione del tessuto produttivo, insomma di cose troppo serie per una campagna elettorale, di cose poco rassicuranti per l’elettore. Molto meglio una fiaba, l’ennesima. Molto meglio vantarsi (come fa il PD Ferrazzi) del fatto che il 75% degli investimenti pubblici sulla città giungano per finanziarne le connessioni aereoportuali, ovvero per impaludarci ulteriormente nelle sabbie mobili di questa monoeconomia totalitaria.
E Bettin?
E a Bettin voglio bene. Si. In questi anni l’ho immancabilmente contestato ma l’ho fatto sempre con grande rispetto. Me lo ricordo specialmente livido nella seduta del 30 gennaio 2012 del consiglio comunale, quando da assessore all’ambiente approvò come una statua di sale i 52 ettari di nuovo edificato a Tessera City, quando non accolse l’emendamento contrario alla sublagunare né quello contro i cambi d’uso alberghieri, quando approvò una fantomatica “linea di forza” per trasportare i turisti da Tessera alle fondamente nuove, quando dette il suo assenso alla variante del piano regolatore che avrebbe fatto sorgere i nuovi mega alberghi alla stazione di Mestre. Me lo ricordo, lì in fondo, plumbeo e silente, ad aspettare di poter premere quel maledetto pulsante verde per poi tornarsene a casa, per chiudere quella farsa. Lo contestavo, ma con rispetto. Me lo ricordavo infatti giovane a Santa Marta raccontato nelle righe di quel suo romantico libello che narrava un “Qualcosa che brucia”. In quella triste giornata d’inverno quel “qualcosa” da qualche parte lì sotto doveva pur continuare a bruciargli.
Tra le tante porcate che quel piano di assetto del territorio conteneva e contiene, una in particolare allora mi colpì, ed era relativa al passaggio delle grandi navi in laguna. La giunta Orsoni propose altri 18 mesi di “studi” per “definire delle alternative al passaggio delle grandi navi davanti a San Marco”. Una dilazione evidentemente pilatesca. Poi di anni senza alcun studio ne sono passati due e Orsoni fu infine svegliato una bella mattina all’alba dalla guardia di finanza, e quindi di anni ne sono passati altri sei, per complessivi mesi 96, e di alternative a quelle navi non se ne sono scavate che a forza di motori che grattano sul fondo. E così anche oggi -otto anni dopo- un Bettin dai capelli imbiancati ci illumina ancora, imperturbabile: “sulle grandi navi troveremo la quadra”.
Sorrido, ma solo perché Marco sta cantando.
Ghigi Giancarlo
Venezia, 15 luglio 2020
Devi fare login per commentare
Accedi