Partiti e politici

Boschi, Renzi, ma in tre giorni non direte una sillaba sulle banche?

12 Dicembre 2015

FIRENZE – Perfetta, solo un’incrinatura laterale, una lama buia laggiù al fondo, spalancata sull’oceano di sentimenti controversi, familiari e politici, che portano la giovane pretendente al trono non solo a chiudere tra gli applausi solidali e anche un po’ commossi la seconda giornata della Leopolda («Vi voglio bene»), ma a stendere la gentilezza di gesti bianchi e sorridenti su tutta quella storiaccia che ha coinvolto povera gente senza più un quattrino che ora rivorrebbe indietro pezzetti di Banca Etruria, dove papà Boschi sedeva da vice presidente. Siamo all’interno di una questione pelosissima, che cade neppure tanto accidentalmente sulla testa dei leopoldini, vecchi o novelli che siano, comunque tutti perfettamente consapevoli della questione che investe Maria Etruria Boschi, come perfidamente Dagospia ha ribattezzato la Ministra delle Riforme. La quale ieri aveva preferito confondersi nei palazzi romani e non tra le mura di casa dove avrebbe avuto qualche solerte cronista alle calcagna. La questione, sempiterna, è quella della «sensibilità politica», che non ha mai contorni definiti, meno che mai in Italia, dove l’etica dei comportamenti è una nebulosa che può andare da un capo all’altro del buon senso e se per tutti parrebbe normale che un ministro si rimetta alla clemenza della corte se il figliolo riceve un Rolex da diecimila euro certamente in cambio di qualche “attenzione” istituzionale, poi ci si può dividere sui destini politici di un ministro che forse ha vissuto sin troppo serenamente il suo conflitto di interessi con il padre.

Qui Renzi ha cercato di imporre la sua linea, che aveva una sola, vera, parola d’ordine: eliminare il problema Boschi-banche dalla Leopolda. Fare come se non esistesse, non fosse mai esistito. Ma la comunicazione, meglio la negazione d’ogni forma di comunicazione, ha prodotto il risultato opposto, fino al punto di centrifugare l’attenzione in modo persino violento, e come una maionese impazzita farle assumere forme poco controllabili. E una domanda pare lecita, quasi civilmente inevitabile: è possibile che l’ingresso del dolore, il dolore fisico persino, delle persone truffate dalle banche, non abbia convinto il presidente del Consiglio di tutti gli italiani a dire una cosa, una mezza cosa, proprio nel contesto più spirituale e dunque accorato, ch’era quello della Leopolda? Sarebbe rimasta impresa nella piccola storia italiana anche una Maria Elena Boschi che esce sul palco e in luogo di un ridicolo question time già preconfezionato in cui dispensa le ultime sulla riforma costituzionale e ci dice d’aver ascoltato «ricostruzioni fantasiose sulla mia assenza», racconta il suo punto di vista di ragazza perbene e coscienziosa su questa storia tormentata, senza rispondere necessariamente a Saviano – personalizzare sarebbe stato inelegante – ma non evitando il problema.

Siamo nel tempo in cui tutto ciò che immaginiamo farà Matteo Renzi poi lo farà davvero, e se lui è diventato quasi scontato per tutti noi, quelli che lo amano e quelli che lo amano meno, significa che il meccanismo della trasmissione sentimentale fatica a riaccendersi fuori dai sacri luoghi come per esempio può essere la Leopolda. Vedremo domani se nel discorso di chiusura di Matteo Renzi ci si riaggancerà con il mondo, meccanismo che gli permetterebbe di uscire da un enorme imbarazzo e non vivere così la parte del “debole”. Potrebbe persino attaccarlo lui Roberto Saviano dal palco della Leopolda, vendicando così Maria Elena e facendo pace col buon senso civico mettendosi anche a confronto con le associazioni dei truffati.

Ma se poi alla fine di tre lunghi giorni qui nessuno avrà pronunciato una sola sillaba sul crac delle banche italiane, su centinaia e centinaia di persone truffate, su un pover’uomo che ha deciso di salvare la sua dignità sopprimendo se stesso, allora sarà una grande Leopolda persa.

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