Partiti e politici

Vi ricordate quando Berlinguer faceva il gradasso e suonava i campanelli?

10 Luglio 2020

7 giugno del 1984: nel corso della campagna politica per le Europee, Enrico Berlinguer tiene a Padova il suo ultimo comizio, durante il quale è colpito da un ictus. Il momento tragico in cui egli avverte che le forze stanno per venirgli meno è notato da tanti, sia dalle persone del suo entourage che dal pubblico che lo ascolta. Un momento che si protrae, che sembra non avere fine. Nella memoria di ognuno che ha assistito a quella scena, di persona o vista in tv, resta ferma l’immagine eterna e pregna di tensione emotiva di uomo per bene prestato alla politica. Il segretario del Pci non si ferma, continua nel suo discorso alla folla, non pensa minimamente di abbandonare quel luogo per affidarsi alle cure del caso, che, a quel punto, sarebbero di massima urgenza. Non ha assolutamente intenzione di lasciare quella affezionata massa di gente e quello sventolio di bandiere rosse. Resiste, come solo chi ha una grande forza interiore può fare. Come solo chi ha a cuore il suo dovere di rappresentante del popolo. Come solo chi ricambia con il giusto entusiasmo la speranza della gente comune.

Probabilmente, egli vede davanti a sé solo una grande macchia variopinta in movimento, che si restringe e si allarga come un cuore pulsante negli applausi d’amore nei confronti di un uomo che ha scelto di rimanere al suo posto, come se cedere al malore fosse stato un segno di debolezza, prima ancora che una mancanza di considerazione verso quella piazza appassionata. E continua a parlare, a portarsi avanti con le parole, anche quando la sua voce ha perso ormai smalto e vigore, rivelando il suo terrificante stato di salute. Nessuno ha il coraggio di soccorrerlo, di fermarlo, di portarlo via, non per difetto di negligenza o scarsa prontezza, ma per il rispetto che si deve agli eroi nel pieno esercizio della loro funzione archetipica, nell’osservanza del loro sacrificio al di sopra di ogni umana sofferenza, nel rito dell’ammirazione incondizionata che si nutre per chi ha la stoffa del difensore degli umili. Ancora applausi, mugugni di tensione, paura e grande preoccupazione per l’integrità del gigante segretario, che non si stacca dal microfono. Poi, un coro straziante, di una commozione che tocca l’anima: “Enrico! Enrico! Enrico!” E, in ultimo la voce di chi non ce la fa più a reggere il pathos tellurico di quell’emozione: “Basta, Enrico! Enrico, per favore, fermati!”. La storia la conoscete. Enrico, seppure a fatica, riesce a portare a conclusione il comizio. Morì, quattro giorni dopo, l’11 giugno del 1984.

9 luglio 2020: un impostore della politica, Matteo Salvini, dichiara che il suo partito, da considerarsi a tutti gli effetti razzista, omofobo, sessista, disonesto (ha sottratto 49 milioni agli italiani), ha ereditato i valori morali della sinistra di Enrico Berlinguer. Come dire che Jack lo squartatore, lo sconosciuto assassino seriale di fine ottocento, avesse ereditato lo spirito di San Francesco, non solo il santo dei poveri ma anche della pace e la non violenza. Una incongruenza massima, dunque, che ha tutti i crismi della scemenza. Ecco, un produttore di assurde banalità, spesso insopportabili, altre volte semplicemente squilibrate e da psicopatico, leader politico di questa nazione, si concede il gusto osceno di lordare il ricordo di uno dei politici italiani più amati della storia e di falsare l’essenza di un patrimonio culturale che che è appartenuto a milioni di militanti, cittadini, donne e uomini che nutrivano speranze, producevano impegno, liberavano passione. Certo, chi conosce la storia contemporanea e recente del nostro paese ha tutto il diritto di indignarsi di fronte a una simile minchiata. Se ne può anche ridere, ma, molto amaramente. Povera patria! Così, per dire.

 

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