Partiti e politici
La vera posta in gioco
Insomma adesso glielo hanno detto tutti, a Matteo Renzi. Il voto che assegna la poltrona di sindaco in tutte le principali città italiane (Roma, Milano, Napoli, Torino, Trieste, Bologna) e che richiama alle urne oltre 8,5 milioni di elettori per i ballottaggi non è solo un voto locale, come debolmente argomentato dal premier e dai suoi fedelissimi, ma un vero e proprio test politico nazionale. Oggi anche i giornaloni e direttori non certo pregiudizialmente avversi al premier Matteo Renzi e al suo progetto politico, come Mario Calabresi, hanno scritto alla vigilia del ballottaggio che il test è politico, ha valenza nazionale e i risultati già acquisiti al primo turno indicano comunque la necessità di un cambio di ritmo e di rapporto con gli interessi rappresentati, compresi quelli della borghesia conservatrice o progressista, o di quel che resta di entrambe. Calabresi concludeva il suo editoriale con un invito all’ascolto che, detto dalle colonne del principale organo di informazione per i lettori elettori del pd, suona comunque come un monito netto a Renzi e al suo stile “ghe pensi mi”. Ovviamente, il tono dell’invito si declinerà in base al risultato finale nelle città principali interessate ai ballottaggi.
La posta in gioco, dicevamo, sono i nuovi equilibri interni al partito democratico e al governo, per disegnare i quali, tuttavia, serve partire da quel che diranno questi ballottaggi a proposito degli oppositori di Renzi. In particolare, dal risultato del ballottaggio, può emergere una nuova configurazione dei pesi e degli equilibri, e un’occasione di verifica delle capacità di governare le città, di forze alternative al Pd che finora mai si erano trovate di fronte a sfide di governo di dimensioni rilevanti come lo sono Roma e, secondariamente Torino, in ordine sia di importanza simbolica e materiale sia di probabilità. Parliamo naturalmente del Movimento Cinque Stelle, che domani si gioca la prima partita adulta della sua ancora brevissima vita politica. Mai prima erano stati così vicini a un incarico di governo e amministrazione così importante e rilevante. Mai la sfida era stata così concreta, e concrete le loro possibilità di vittoria. Sicuramente a Roma, ma anche solo il fatto di provare a giocarsela in una città come Torino, antica capitale abituata a un certo decoro e alla sua conservazione, dà l’idea di che vento tiri sul paese e nella sua pancia. Ovviamente, una volta conquistato il governo le sfide saranno enormi, ed è facile scommettere sul fatto che, soprattutto Roma, sia fuori dalla portata di chiunque, a cominciare da loro. E tuttavia, di questo ci occuperemo semmai domani: intanto proviamo a prevedere le conseguenze politica di questa vittoria, o eventualmente vittorie. Vorrebbe dire, molto semplicemente, che per quanto irrisi e snobbati dalle intellighenzie (spesso autorpoclamatesi) i Cinque Stelle, a certe condizioni, sono ritenuti affidabili dalla maggioranza dei cittadini che hanno deciso di esercitare il loro diritto di voto. Vorrebbe dire che, per loro, finisce necessariamente l’infanzia e inizia l’eta adulta di un movimento politico in cui, invece di stare a puntare il dito coi popcorn in mano mentre altri si sporcano le mani, le parti si invertono, e ai massimi livelli.
L’altra sfida rilevante, diremmo perfino affascinante per chi ha la passione della politica e la vive da un paio di decenni in Italia, è quella che si gioca a Milano. Uno schema tardonovecentesco, con però il Movimento 5 Stelle protagonista nel determinare gli equilibri tra il vecchio centrodestra di matrice berlusconiana, liberal-conservatore e capace di includere forti spinte populiste (ieri autonomiste con Bossi, oggi lepeniste e nazionaliste con Salvini) e vecchio centrosinistra, con una candidatura moderata come quella di Sala, ma con una forte presenza della sinistra: da quella organica a quella che si tappa il naso. Uno schema classico, diremmo quasi vecchio, che non scioglie un dubbio di fondo: Milano è anche questa volta laboratorio di futuro o ancoraggio al passato che ha funzionato in una città che, come diciamo sempre, al di là di tutto, funziona piuttosto bene? Le domande su Milano e sul resto della contesa sono tante e tante di più, e le analizzeremo con i dati dei risultati.
La posta in gioco, si diceva, è misurare la febbre di cui è malata la nostra democrazia rappresentativa, in generale, ma anche e soprattutto, con precisione, lo stato di salute del Partito Democratico che ha per segretario il premier Matteo Renzi. Non sarà difficile capire quanto la scommessa fosse ponderata, quanto fragile o solida sia ancora la “casa” che su quella base è stata costruita. Infine, da ultimo, vedremo quanta gente va a votare quanta non ci va. La nuova frontiera di assestamento della democrazia italiana passa da questo dato: ignorarlo può essere fatale per le prossime generazioni di cittadini, tanto più che dopodomani, girata in qualche modo pagina, si inizierà a parlare di riforma costituzionale e del relativo referendum.
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